venerdì 19 Dicembre 2025

Nuovi OGM: in un rapporto tutti i pericoli della deregolamentazione

Alterazioni genetiche non previste, instabilità cromosomiche, effetti metabolici sconosciuti, contaminazioni transgeniche, rischi ecologici e nuove forme di controllo corporativo, fino alla biopirateria. È questo il bilancio che accompagna la corsa alla deregolamentazione dei nuovi OGM e delle “Nuove Tecniche Genomiche” (NTG), comunemente note come gene editing e in Italia come TEA (“Tecniche di Evoluzione Assistita”), che emerge dal rapporto “Semi di resistenza. Deregolamentazione degli OGM e mobilitazione popolare”, lanciato in questi giorni dal Navdanya International, l’organizzazione fondata 30 anni fa in India dall’attivista e ambientalista indiana Vandana Shiva in difesa della sovranità alimentare e dei semi. Il rapporto smonta la narrazione dell’inevitabilità tecnologica e mostra come la deregolamentazione sia una scelta politica, non una necessità scientifica, che indebolisce l’agrobiodiversità e la sicurezza alimentare, cancella la tracciabilità e trasferisce i rischi dall’industria ai cittadini, ridefinendo in modo opaco e senza mandato democratico il controllo sul cibo.

America Latina: il laboratorio della deregolamentazione

In Colombia, nel 2019 la superficie OGM ha superato i 100.000 ettari, soprattutto per mais e cotone

Il rapporto descrive l’America Latina come il primo banco di prova della deregolamentazione. Il cosiddetto “modello argentino”, operativo dal 2015, ha escluso dal quadro OGM molte piante ottenute con gene editing prive di DNA esogeno, consentendo così una rapida immissione in commercio senza adeguate valutazioni di biosicurezza. Questo approccio si è esteso a più Paesi della regione, segnando una svolta normativa che ha ridotto controlli e trasparenza. In Colombia, nel 2019 la superficie OGM ha superato i 100.000 ettari, soprattutto per mais e cotone. Le conseguenze sono già note: in Messico, culla del mais e pilastro identitario oltre che agricolo, uno studio indipendente del 2003 aveva rilevato fino al 33 per cento di contaminazione transgenica in varietà autoctone, dimostrando come il flusso genico renda illusoria ogni distinzione formale tra colture. Non a caso, negli ultimi anni, diversi Paesi latinoamericani hanno reagito rafforzando divieti e moratorie, fino alla riforma costituzionale messicana a tutela del mais nativo.

Africa: adozione forzata e dipendenza

In Africa la deregolamentazione procede sotto la spinta di programmi internazionali che presentano OGM e NGT come soluzioni alla fame e al cambiamento climatico. Il rapporto segnala come il risultato sia, al contrario, una crescente dipendenza dalle sementi geneticamente modificate. In Sudafrica, oltre 3 milioni di ettari sono coltivati a OGM, con percentuali che superano l’85 per cento per il mais, il 95 per cento per la soia e arrivano quasi al 100 per cento per il cotone. Questo modello ha favorito monocolture, pacchetti tecnologici brevettati e una forte erosione dei sistemi sementieri locali.  

Asia: tra accelerazione e resistenze

In Bangladesh, nel 2025, oltre 65 mila agricoltori coltivavano melanzana BT (OGM)

Il continente asiatico mostra un quadro frammentato. In Bangladesh, nel 2025, oltre 65 mila agricoltori coltivavano melanzana BT (OGM), mentre in altri Paesi il dibattito resta acceso. Il rapporto evidenzia come l’introduzione di tecnologie come CRISPR abbia acuito i conflitti tra governi orientati alla deregolamentazione e società civili che chiedono precauzione e trasparenza. Le promesse di benefici nutrizionali e agronomici risultano spesso ridimensionate rispetto alla narrazione “salvifica”: è il caso del Golden Rice, una varietà di riso prodotta attraverso una modifica genetica, i cui livelli di beta-carotene risultano molto bassi e variabili (3,57–22 µg/g) e si degradano rapidamente dopo il raccolto, limitandone l’efficacia nutrizionale.

Europa: il bivio normativo

In Europa la traiettoria globale arriva oggi a un punto critico. Sotto una pressione delle lobby, il 4 dicembre il Trilogo europeo ha approvato la deregolamentazione delle nuove tecniche genomiche, distinguendo tra piante NGT1, equiparate alle convenzionali, e NGT-2, caratterizzate da modifiche più complesse. In Italia la deregolamentazione dei nuovi OGM entra in contraddizione con il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, nato per tutelare biodiversità e produzioni locali. Secondo il rapporto, la scelta europea apre la strada alla rimozione di valutazioni del rischio, etichettatura e tracciabilità, riducendo drasticamente la trasparenza istituzionale.  

Oceania: dalla precauzione alla deregulation

In Oceania, Australia e Nuova Zelanda hanno a lungo rappresentato un riferimento internazionale per l’approccio prudente agli OGM, fondato su valutazioni preventive, consultazioni pubbliche e attenzione ai diritti delle popolazioni indigene e agli equilibri ecologici. Il rapporto segnala, però, una svolta netta negli ultimi anni: le normative sono state modificate per escludere dal regime OGM molte piante ottenute con gene editing, in particolare attraverso CRISPR-Cas, facilitandone l’ingresso sul mercato senza valutazioni di rischio comparabili a quelle precedenti. Una deregolamentazione che riduce la trasparenza, indebolisce il principio di precauzione e subordina la tutela degli ecosistemi a interessi industriali, mettendo in discussione processi decisionali che erano stati costruiti proprio per garantire partecipazione democratica e protezione della biodiversità.  

Disaccordo scientifico e rischi

Nonostante vengano presentate come più precise e sicure delle biotecnologie del passato, le nuove tecniche genomiche continuano a dividere la comunità scientifica. Numerosi ricercatori segnalano i rischi legati alle mutazioni off-target, modifiche genetiche non intenzionali generate da strumenti come CRISPR-Cas, in grado di produrre alterazioni impreviste del genoma e dei processi biologici. La letteratura scientifica evidenzia come, in assenza di protocolli e standard condivisi a livello globale per individuare e misurare questi effetti, i risultati degli studi siano spesso disomogenei, rendendo fragili le valutazioni di rischio. Da qui, il mancato consenso internazionale sulla sicurezza di OGM e prodotti di gene editing, soprattutto rispetto agli impatti ecologici a lungo termine e alle interazioni con ecosistemi complessi, come il suolo e i microbi.  

Il controllo corporativo

La deregolamentazione apre anche un fronte meno visibile, ma altrettanto decisivo: quello del controllo corporativo. I semi ottenuti con gene editing, pur presentati come “naturali”, finiscono nei regimi brevettuali più stringenti. Attraverso l’uso della Digital Sequence Information (DSI) – dati genetici digitalizzati – le multinazionali come Corteva, Bayer o Syngenta possono appropriarsi di tratti genetici presenti in varietà coltivate o spontanee, aggirando lo spirito del Protocollo di Nagoya. Le aziende come Bayer stanno brevettando sementi abbinate all’uso dei loro pesticidi e agenti chimici, privatizzando il cibo e la vita stessa. I sistemi di licenza restringono l’accesso alle sementi, marginalizzano piccoli selezionatori e agricoltori, indeboliscono la ricerca pubblica. Sul piano ecologico, la diffusione di colture resistenti agli erbicidi accelera la comparsa di infestanti super resistenti, mentre il flusso genico minaccia la biodiversità autoctona.

Mobilitazione e resistenza dal basso

Non ovunque, però, la partita è già chiusa. Il rapporto documenta una resistenza dal basso che attraversa continenti e sistemi giuridici in tutti i continenti. In Guatemala, le mobilitazioni popolari sono riuscite a ribaltare la “Legge Monsanto”, Ecuador e Venezuela hanno inserito divieti costituzionali, il Perù ha prorogato la moratoria fino al 2035, il Messico ha vietato la coltivazione del mais OGM, Sudafrica e Colombia hanno adottato nuovi stop nel biennio 2024-2025. In Asia e in Europa, tribunali e mobilitazioni hanno rallentato l’espansione incontrollata. Recenti vittorie legali nelle Filippine hanno bloccato alcune colture geneticamente modificate e i movimenti asiatici continuano ad affermare che il futuro alimentare deve dare priorità alla scelta democratica, al patrimonio culturale e alla resilienza ecologica.  

Che fare?

La posta in gioco va oltre l’agronomia e tocca cultura e democrazia: per molte comunità i semi sono un vero e proprio patrimonio vivente e base della sovranità alimentare. La deregolamentazione dei nuovi OGM segna un cambio di paradigma che concentra potere e opacità, riducendo tutele e tracciabilità a favore della logica della mercificazione. La risposta che cresce dal basso indica un’alternativa fondata su agrobiodiversità, ricerca pubblica e principio di precauzione, per difendere il diritto collettivo a decidere sul cibo.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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