Sui banchi della commissione bilancio al Senato è spuntato un emendamento alla manovra finanziaria che punta a «rafforzare le capacità industriali della difesa». La legge prevede che i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture individuino tramite decreto «attività, aree e relative opere e progetti infrastrutturali per la realizzazione, l’ampliamento, la conversione, la gestione, lo sviluppo delle capacità industriali della difesa», introducendo la conversione delle aziende nei progetti definiti «di interesse strategico per la difesa nazionale». Le opere individuate ai sensi del nuovo emendamento sarebbero destinate alla produzione e al commercio di armi, materiale bellico e sistemi d’armi.
L’emendamento alla legge di bilancio è apparso negli ultimi giorni su proposta di cinque parlamentari appartenenti ai tre partiti di maggioranza. Il testo è composto da sole dieci righe: «Al fine di tutelare gli interessi essenziali della sicurezza dello Stato e di rafforzare le capacità industriali della difesa riferite alla produzione e al commercio di armi, di materiale bellico e sistemi d’arma, con uno o più decreti del Ministro della difesa di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate, anche con funzioni ricognitive e senza oneri a carico della finanza pubblica, le attività, le aree e le relative opere, nonché i progetti infrastrutturali, finalizzati alla realizzazione, ampiamento, conversione, gestione e sviluppo delle capacità industriali della difesa, qualificati come di interesse strategico per la difesa nazionale». L’emendamento, insomma, permette ai ministeri della Difesa e delle Infrastrutture di individuare progetti, attività e opere infrastrutturali (e non), utili a rilanciare produzione e commercio delle armi.
Il testo è stato duramente criticato dalle opposizioni, che hanno contestato tanto i contenuti della proposta quanto le tempistiche con cui è arrivata. Il Movimento 5 Stelle ha criticato il punto sulla «conversione di opere, attività e infrastrutture in direzione della produzione e commercio di armi», sostenendo che esso – e l’emendamento in generale – proverebbero che il cuore della manovra sarebbe proprio quello di aumentare le spese militari a scapito di quelle sociali. Analoghe critiche sono state lanciate da AvS, che ha parlato di «blitz» del governo per rilanciare l’industria bellica e «trasformare le fabbriche italiane in luoghi di produzione di armi». In effetti l’emendamento arriva a margine di una manovra che aumenta l’età pensionabile, favorisce i dirigenti, e si concentra prevalentemente sugli investimenti militari.
La questione del riarmo sta diventando sempre più centrale nel dibattito politico europeo, specialmente dopo che la NATO ha fissato i nuovi obiettivi militari dell’Alleanza, chiedendo a ciascun Paese di destinare al settore bellico il 5% del proprio PIL entro il 2035. A spingere per il rilancio della produzione è anche l’Unione Europea, che con il piano ReArm Europe (ora ribattezzato “Readiness 2030”, letteralmente “Prontezza 2030”) prevede di mobilitare 800 miliardi di euro in 5 anni. In questa cornice, la questione della conversione delle fabbriche sta iniziando a emergere in diversi Paesi, prima fra tutti la Germania. I settori maggiormente coinvolti nelle ipotesi di riconversione sono quelli delle auto e dell’aviazione. Anche in Italia il tema è stato affrontato, seppure in maniera ancora embrionale: a suggerire l’ipotesi della conversione del comparto auto – in crisi da tempo – è stato il ministro delle Imprese Adolfo Urso, che è tornato sul tema in due distinte occasioni.




