Mohamed Shahin, l’imam della moschea di via Saluzzo a Torino chiuso in un centro Centro di Permanenza e Rimpatrio (CPR) per aver affermato che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre furono un atto di resistenza dovuto ad anni di occupazione, è stato liberato. La sua scarcerazione è stata disposta dalla Corte d’Appello, che ha riconsiderato la legittimità del provvedimento con cui il suo trattenimento era stato convalidato, evidenziando come le frasi incriminate fossero state archiviate già prima del suo arresto, lo scorso 24 novembre; sul decreto di espulsione, invece, dovrà esprimersi il TAR del Lazio.
La decisione della Corte d’Appello è arrivata oggi, 15 dicembre. Essa accoglie uno dei ricorsi presentati contro il trattenimento di Shahin nel CPR di Caltanissetta. Sul decreto di espulsione, visionato da L’Indipendente, si legge che l’imam costituirebbe «una minaccia concreta, attuale e sufficientemente grave alla sicurezza dello Stato», tanto che potrebbe «agevolare, in vario modo, organizzazioni o attività terroristiche anche internazionali». Il decreto porta diversi argomenti per sostenere la propria tesi; tra i principali: le frasi pronunciate in occasione della manifestazione del 9 ottobre; il fatto che su di lui penda una accusa per blocco stradale, in riferimento a una manifestazione dello scorso maggio; presunti legami con due persone poi arruolatisi in gruppi terroristici. Il provvedimento cita anche il ruolo di rilevanza che egli ricopre all’interno della comunità islamica, le sue iniziative di promozione di manifestazioni per la Palestina, il fatto che nel 2023 gli sia stata negata la cittadinanza, e sostiene che Shahin sarebbe portatore di una «ideologia fondamentalista e di chiara matrice antisemita», senza tuttavia spiegare per quale motivo.
Secondo la Corte d’Appello nessuna delle motivazioni giustificherebbe l’identificazione di Shahin come soggetto pericoloso per la sicurezza dello Stato: le frasi incriminate sono infatti già state archiviate lo scorso 10 ottobre, e decontestualizzate dall’intero discorso dell’imam; l’accusa di blocco stradale non basta per affermare che Shahin costituisca un pericolo, visto anche che l’uomo vive in Italia da vent’anni ed è «completamente incensurato»; i presunti contatti con persone indagate per terrorismo, invece, sono stati spiegati da Shahin nel corso della reclusione. Fairus Jama, l’avvocata di Shahin, ha spiegato a L’Indipendente che i fatti riguardo alle persone indagate per terrorismo risalgono a diversi anni fa e che, tra l’altro, Shahin non è accusato di avere avuto veri e propri «contatti» con essi, ma di essere stato «avvicinato». In uno dei due casi, a fare suonare il campanello di allarme sarebbe stato il mero fatto che il nome di Shahin sia uscito in una conversazione telefonica tra terzi. Sulla negazione della cittadinanza, Jama ci ha spiegato che è stato presentato ricorso, ma che deve ancora iniziare l’udienza.
Mohamed Shahin è stato prelevato sotto casa la mattina del 24 novembre, quando si è visto revocare il permesso di soggiorno e recapitare un decreto di espulsione. Dopo essere stato detenuto in un primo momento nel CPR di Torino, Shahin è stato trasportato in quello di Caltanissetta, a 1.600 chilometri dalla Mole, lontano da famiglia e avvocata. Nel suo Paese d’origine, l’Egitto, è considerato un dissidente per la sua aperta opposizione al regime di Al Sisi. A sollecitarne l’espulsione, nel corso di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi, è stata la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, che ha richiamato proprio quelle frasi su Hamas che erano già state archiviate un mese e mezzo prima. Il Viminale ne ha così ordinato l’espulsione e il trattenimento, e la Corte d’Appello ha in un primo momento convalidato quest’ultimo.




