Francesco Valeriano aveva 45 anni. È morto in ospedale dopo essere finito in coma per sei mesi, a causa di un pestaggio per mano di ignoti. Il suo è il primo di quattro casi di morti di carcere con cui lo scorso 12 dicembre – con amaro tempismo – si è aperto il giubileo dei detenuti; degli altri tre non si sa nemmeno il nome. Una donna, 59 anni, è stata trovata morta nella sua cella a Rebibbia, probabilmente per overdose. Qualche chilometro più a nord, al Mammagialla di Viterbo, un uomo si è tolto la vita in infermeria; anche lui aveva problemi di tossicodipendenza. L’ultimo è stato trovato morto suicida all’interno della sua cella, nell’istituto di Borgo San Nicola, Lecce; l’uomo con cui condivideva la cella non si è accorto di niente. Quattro morti in appena una notte, che si aggiungono alle oltre 200 avvenute nel solo 2025; ma, soprattutto, quattro morti che – nelle loro modalità – riassumono plasticamente le condizioni di criticità in cui versano le carceri italiane.
Le ultime quattro morti segnalate sono state rese note dai sindacati della polizia penitenziaria ripresi dai media e da associazioni che si battono per i diritti dei detenuti come Antigone. Francesco Valeriano, l’unica vittima di cui si conosce l’identità, era detenuto presso il carcere di Rebibbia, dove stava scontando una pena di due anni e mezzo. Lo scorso 30 giugno è stato picchiato selvaggiamente nella sua cella; è stato trasferito al policlinico Umberto I, con lesioni cerebrali gravi, dove è stato sottoposto a tracheotomia; dopo i primi trattamenti è stato trasportato in un ospedale privato e l’11 dicembre è stato portato in condizioni critiche presso il policlinico di Tor Vergata, dove è morto. Il suo caso è paradigmatico. Su di esso si è espressa anche l’organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, che ha rimarcato che alla sua morte ha concorso un sistema carcerario ancora carico di criticità.
In parallelo alla morte di Francesco, nella notte tra l’11 e il 12 dicembre, la sezione femminile dello stesso carcere dove il detenuto era stato trovato agonizzante ha visto un’altra morte; della vittima si sa solo che aveva 59 anni, e che con ogni probabilità sarebbe morta di overdose. A dirlo è stato il segretario generale del sindacato Polizia penitenziaria, Aldo Di Giacomo, che da quanto comunicano i media ipotizza il sovradosaggio di stupefacenti perché la stessa notte un’altra detenuta è stata portata in ospedale dopo avere avuto un malore. Nemmeno il suo è un caso isolato: «Siamo all’ennesimo caso di diffusione di stupefacenti che solo negli ultimi mesi dell’anno registra due morti a San Vittore-Milano e tre ricoverati in gravi condizioni; sempre a Rebibbia nel reparto maschile c’è stato un decesso, uno a Sassari, Gorizia, Reggio Emilia e Firenze» ha detto Di Giacomo. Nelle carceri la droga circola liberamente, in ogni forma e modalità: «Nel corso dell’anno», ha puntualizzato Di Giacomo, «i sequestri negli istituti penitenziari ammontano a 65 kg di sostanze stupefacenti di ogni tipo».
Gli ultimi due detenuti sono morti a Viterbo e a Lecce. Entrambi sembrano essersi tolti la vita, in un altro fenomeno – quello dei suicidi – dal carattere sistematico. Dall’inizio dell’anno in carcere sono morti 226 detenuti; è il terzo dato più alto mai registrato, secondo solo al 2024 e al 2023. I suicidi, per ora, ammontano a 76. A denunciare l’alto tasso di suicidio nelle carceri italiane sono associazioni come Antigone, istituzioni come il Consiglio d’Europa, organismi come il Garante dei Detenuti. Tutti i rapporti e gli allarmi lanciati rimarcano la necessità di migliorare le condizioni delle strutture, spesso decadenti e prive di servizi di base; di lavorare sulle condizioni psicologiche dei detenuti, introducendo stanze dell’affettività, permettendo loro di incontrare di più i propri cari, fornendo supporto psicologico; e ancora, puntano il dito sul problema del sovraffollamento, che complessivamente supera il tasso del 138%.




