Nel corso del 2025 la mappa giudiziaria italiana è stata attraversata da un’intensa sequenza di inchieste per corruzione, che tocca numeri da record. Tra il 1° gennaio e il 1° dicembre sono state registrate 96 nuove indagini per corruzione e concussione – in media otto al mese – con un totale di 1.028 persone indagate. Un dato che quasi raddoppia quello dell’anno precedente, quando le indagini erano 48 e gli indagati 588. A fotografare questa crescita è Italia sotto mazzetta, il dossier diffuso da Libera in occasione della Giornata internazionale per la lotta alla corruzione del 9 dicembre. L’analisi delinea una corruzione ormai sistemica e strutturata, inserita in meccanismi stabili, che finisce per minare la fiducia nelle istituzioni, degradare la qualità della democrazia e dei servizi pubblici e favorire una pericolosa assuefazione sociale al fenomeno.
L’associazione fondata da don Luigi Ciotti ha censito le inchieste sulla corruzione dal primo gennaio al primo dicembre 2025, basandosi sulle notizie di stampa. Il quadro restituisce l’estensione e la pervasività della corruzione in Italia, un fenomeno che nel 2025 emerge con continuità su tutto il territorio nazionale. Da Torino a Milano, da Bari a Palermo, da Genova a Roma, passando per numerosi centri di provincia come Latina, Prato e Avellino, fino ad aree del Salernitano, l’anno è stato segnato da un susseguirsi di inchieste per mazzette che hanno coinvolto circa mille tra amministratori, politici, funzionari pubblici, manager, imprenditori, professionisti e soggetti legati alla criminalità organizzata. Sono ben 53 i politici indagati (sindaci, consiglieri regionali, comunale, assessori) pari al 5,5% del totale delle persone indagate. Di questi 24 sono sindaci, quasi la metà. Il maggior numero di politici indagati riguarda la Campania e Puglia con 13 politici, seguita da Sicilia con 8 e Lombardia con 6. Il report evidenzia una distribuzione geografica non omogenea: il Sud e le isole risultano le aree più coinvolte. Di tutte le inchieste del 2025, 48 riguardano regioni meridionali o insulari, contro 25 del Centro e 23 del Nord. La “maglia nera” spetta alla Campania, con ben 219 indagati, seguita da Calabria (141) e Puglia (110). Tra le regioni del Nord, la prima per numero di indagati è la Liguria con 82, seguita dal Piemonte con 80. Si tratta di una istantanea che smentisce la narrazione di una corruzione confinata a poche “zone calde”: la mappa coinvolge l’intero Paese, dalle periferie del Sud ai borghi del Nord, con una forte presenza di territori del Mezzogiorno in cima alla classifica.
Nel commentare i dati, Libera sottolinea come le inchieste di quest’anno fotografino una corruzione che non è più soltanto episodica o marginale, ma sembra animata da logiche consolidate. Ne emerge una “corruzione regolata”, spesso sistemica, organizzata in rete, con ruoli riconoscibili: dirigenti pubblici, imprenditori, faccendieri, talvolta con collegamenti alla criminalità organizzata. Le aree di intervento suggeriscono quanto il fenomeno tocchi la qualità della vita quotidiana: le mazzette servono a ottenere appalti sanitari, licenze, concessioni edilizie, servizi pubblici o vantaggi per la cittadinanza. Da segnalare anche la presenza del reato di voto di scambio politico-mafioso, concorsi pubblici e universitari truccati, tangenti per certificati di morte o residenze false: segni di un sistema che normalizza l’illegalità come strada per accedere a risorse, diritti o servizi.
Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che si sofferma Libera: «Oggi il ricorso alla corruzione sembra diventare sempre più una componente “normale” e accettabile della carriera politica e imprenditoriale». Il processo di progressiva normalizzazione finisce per rendere la corruzione socialmente tollerata, percepita come un elemento ordinario e quasi inevitabile, alimentando rassegnazione e indifferenza. Questo terreno culturale, avverte l’associazione, rischia di consolidarsi in un sistema di potere sempre più irresponsabile, fondato su relazioni opache, conflitti di interesse tollerati e regole piegate agli interessi di pochi. La risposta non può limitarsi all’azione giudiziaria o all’inasprimento delle pene, ma deve puntare su un rafforzamento reale dei presidi anticorruzione, oggi indeboliti, e su un rinnovato patto tra istituzioni e cittadinanza. Il percorso è «lungo» osserva Francesca Rispoli, copresidente nazionale di Libera, «ma necessario» per riaffermare integrità, trasparenza e giustizia sociale come basi dell’interesse pubblico.




