Ormai da sei mesi, il cittadino palestinese Ahmad Salem è detenuto in Italia per avere chiamato una mobilitazione contro il genocidio del proprio popolo. Ahmad, 24 anni di età, è detenuto presso il carcere di Rossano, in provincia di Cosenza, con le accuse di istigazione a delinquere e autoaddestramento con finalità di terrorismo. L’impianto accusatorio si reggerebbe «su un paio di frasi decontestualizzate estratte da un video di otto minuti pubblicato online», nel quale Ahmad «invitava alla mobilitazione contro il genocidio in corso a Gaza, alla sollevazione in Cisgiordania e a scendere nelle piazze in Libano», denunciano pagine di attivisti. A suo favore si è mobilitata anche una deputata del Movimento 5 Stelle, che ha annunciato una interrogazione parlamentare ai Ministeri della Giustizia, dell’Interno e degli Affari Esteri.
Ahmad Salem, nato e cresciuto nel campo profughi di al-Baddawi in Libano, era arrivato in Italia in cerca di protezione internazionale e si era recato a Campobasso per presentare regolare richiesta di asilo politico. Durante l’audizione davanti alla Commissione territoriale, il suo telefono è stato sequestrato e perquisito, dando il via a un procedimento giudiziario che ora lo vede sotto accusa. Il quadro accusatorio poggia, secondo gli atti, su poche frasi isolate e su spezzoni estratti da un video di circa otto minuti in cui Salem parla del genocidio a Gaza, sollecita mobilitazione in Cisgiordania e invoca la partecipazione nelle piazze del Libano; un passaggio in cui condanna il silenzio del mondo arabo è stato ritenuto dalla Digos di Campobasso elemento di «propaganda jihadista». Sempre dal suo cellulare sarebbero stati recuperati filmati che, per l’accusa, avrebbero carattere istruttivo: in realtà si tratta di riprese degli attacchi compiuti dalla resistenza palestinese contro mezzi militari israeliani, gli stessi filmati che negli ultimi anni sono circolati su canali pubblici e testate giornalistiche italiane e non contengono istruzioni tecniche né indicazioni di addestramento.
Nonostante la fragilità delle prove raccolte, Ahmad Salem resta detenuto nella casa circondariale di Corigliano-Rossano, una struttura dotata di sezioni dedicate a detenuti classificati come Alta Sicurezza o coinvolti in procedimenti complessi legati al terrorismo islamico. La vicenda ha cominciato a circolare in queste settimane attraverso alcune reti dell’attivismo pro-Palestina, sollevando interrogativi sulla trasparenza del caso. I reati contestati ad Ahmad Salem – istigazione a delinquere e autoaddestramento con finalità di terrorismo – fanno riferimento all’articolo 270 quinquies del codice penale, noto come “terrorismo della parola”, recentemente introdotto con il “DL Sicurezza” ad aprile. I suoi legali hanno presentato ricorso in Cassazione e hanno sollevato la questione di costituzionalità di questa norma, che amplia ulteriormente il margine repressivo in Italia.
A intervenire sul caso è stato il Gruppo Territoriale del Movimento 5 Stelle di Reggio Calabria, che ha espresso «profonda preoccupazione» per l’accaduto e annunciato la presentazione di una interrogazione parlamentare a firma della deputata Stefania Ascari, indirizzata ai Ministeri della Giustizia, dell’Interno e degli Affari Esteri. Numerosi gruppi Pro-pal hanno inoltre annunciato che nei prossimi giorni si svolgerà una manifestazione davanti al carcere di contrada Ciminata, con l’obiettivo dichiarato di chiedere informazioni ufficiali e visibilità sul caso.
Questo caso si inserisce in un contesto più ampio che vede lo Stato italiano dotarsi di strumenti repressivi sempre più stringenti, non solo per colpire le lotte sociali e il movimento di solidarietà, ma anche ogni espressione di appoggio alla Palestina. L’ultimo caso è quello che ha coinvolto Mohamed Shahin, imam della moschea di via Saluzzo (Torino), raggiunto da un decreto di espulsione e rinchiuso in un Centro di Permanenza e Rimpatrio (CPR) per aver affermato che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre furono un atto di resistenza dovuto ad anni di occupazione e decine di guerre. Dopo essere stato detenuto in un primo momento nel CPR di Torino, Shahin è stato trasportato in quello di Caltanissetta e da qui verrà rimandato nel suo Paese d’origine, l’Egitto. Il suo rimpatrio potrebbe comportare per lui la detenzione, se non anche la morte, dal momento che in patria è considerato un dissidente per la sua aperta opposizione al regime di Al Sisi. I movimenti per la Palestina accusano il governo di aver colpito Shahin per essersi pubblicamente esposto e aver dato voce a un’idea condivisa dalle piazze che da due anni chiedono la fine della guerra.




