venerdì 24 Ottobre 2025

Dopo anni di separatismo a Cipro nord vince l’idea di convivenza coi greco-ciprioti

È raro vedere una capitale europea con una folla in piazza a festeggiare i risultati delle elezioni presidenziali, mentre a poche centinaia di metri di distanza, nell’altra metà della città, regna il silenzio e la quiete di una domenica sera qualsiasi. Nicosia, a Cipro, è l’ultima capitale divisa d’Europa, e qui la scena assume un significato particolare: nella centralissima Zahara Street, a due passi dalla zona smilitarizzata dell’ONU che da 51 anni separa le due comunità dell’isola, la folla festante di domenica scorsa, 19 ottobre, era turco-cipriota e si trovava, di fatto, in un altro Paese. La Repubblica Turca di Cipro del Nord, che domenica scorsa ha tenuto le elezioni presidenziali, non è riconosciuta dalla comunità internazionale: il governo ufficiale, quello del Sud, parla greco e ignora le attività dello Stato secessionista. Eppure, al di là della linea di cessate il fuoco tracciata oltre mezzo secolo fa, i meccanismi democratici sembrano funzionare: il candidato di centro-sinistra Tufan Erhürman, europeista e favorevole a una federazione con i greco-ciprioti, ha ottenuto un clamoroso 63% dei voti, sconfiggendo il rivale uscente, il nazionalista Ersin Tatar, vicino ad Ankara.

«Kıbrıs’ta AKP sandığa gömüldü» , «L’AKP seppellita nell’urna», rimbalza sui social turco-ciprioti dall’annuncio del risultato. L’AKP, partito di Erdoğan, non corre sull’isola, ma molti hanno vissuto il voto come un referendum tra restare ciprioti o avviarsi verso una futura, quasi inevitabile, assimilazione alla Turchia.

Ma soprattutto, è sembrata l’ultima possibilità di sbloccare quell’impasse che tiene l’isola ferma al 21 luglio 1974, quando un colpo di Stato orchestrato dai colonnelli greci per realizzare l’enosis – l’annessione alla “madre patria” – si concluse con l’invasione dell’esercito turco e l’occupazione del 37% del territorio. Da allora, molto è cambiato, ma non la divisione.

La convivenza tra le due comunità, come l’avevano immaginata gli ex colonizzatori britannici, durò appena tre anni; poi, dal 1963 al 1974 Cipro divenne una polveriera, dilaniata da scontri interetnici, enclavi, persone scomparse, fosse comuni e dall’intervento dei caschi blu dell’ONU. La maggioranza greco-cipriota, oltre l’80% della popolazione, non era disposta a condividere equamente il potere con la minoranza turcofona, circa il 20%.

Dopo l’invasione, i turco-ciprioti proclamarono la secessione. Nel 1983 nacque una seconda Cipro: uno Stato non riconosciuto, isolato dall’embargo e sostenuto solo da Ankara. Da allora, la storia dell’isola è rimasta sospesa in un’infinita discussione su come ricomporre la convivenza. Per trent’anni i cittadini delle due comunità poterono incontrarsi solo all’estero: sull’isola, i 158 chilometri di “buffer zone” dell’ONU restavano invalicabili.

Nel 2004 i greco-ciprioti sono entrati nell’Unione Europea; anche i turco-ciprioti, formalmente, ma la loro terra non riconosciuta no. Ora aperta al mondo ma ancora formalmente isolata. Inclusi solo sulla carta, vivono nel limbo delle dispute territoriali, sotto la presenza, o l’occupazione, a seconda dei punti di vista – dell’esercito turco. Stranieri in patria anche nella parte che amministrano.

Il voto di domenica ha scosso l’idea stessa di secessione: nessuno , dice lo tsunami elettorale per la “soluzione a due stati”, crede davvero che una repubblica grande meno del Molise, disseminato di basi militari, possa offrire un futuro a qualcuno. Nel Nord circola la lira turca, oggi crollata a 50 per un euro, e i cittadini turchi si muovono liberamente. L’economia, fondata su turismo, casinò, criptovalute e cemento, è al collasso; chi può emigra o cerca opportunità nella Cipro europea, dove però i greco-ciprioti li accolgono con diffidenza. Concittadini, ma sempre con le dovute distanze.

Non tutti, però, possono attraversare la Linea Verde controllata dall’ONU: né i cittadini turchi né i loro discendenti nati a Cipro dopo il 1974. Il destino dei 250.000 coloni anatolici, ormai pari ai turco-ciprioti, è il muro contro cui si sono infranti più volte i negoziati di pace: i greco-ciprioti non vogliono i coloni dentro casa e, d’altronde, alla terza generazione, è anche difficile immaginare espulsioni di massa. Resta il fatto che l’isola è troppo piccola per due Stati, ma lo scambio forzato di popolazioni – che fece di centinaia di migliaia di persone dei profughi – ha creato un labirinto di rivendicazioni e rancori tramandati di generazione in generazione.

Oggi, a Nord della Linea Verde, si festeggia la fine della presidenza Tatar e un possibile riavvicinamento all’Europa, ma pochi sanno come questo potrà realizzarsi.
Tra i turco-ciprioti, noti per la loro laicità, circola un detto: «In moschea si va solo per i funerali». Il velo è bandito dalla vita pubblica; l’alcol, i matrimoni civili, l’accettazione della comunità LGBT+ e la parità tra uomo e donna sono punti fermi di una società che si considera profondamente secolare.

Eppure  la crescente ingerenza di Ankara – che vede Cipro come un avamposto strategico nel Mediterraneo e una spina nel fianco di Bruxelles – sta facendo oscillare il secolarismo del nord e lascia segni evidenti, non solo nella cultura: un palazzo presidenziale faraonico e moschee sorte ovunque sono testimonianze del prezzo che i turco-ciprioti hanno pagato negli ultimi anni. Insieme alla pessima reputazione di “buco nero” del diritto e forziere dei capitali opachi di mezzo mondo.

Russi, cinesi, iraniani e persino israeliani investono in questo spicchio di Mediterraneo dove quasi tutto è possibile, fuori dai radar della comunità internazionale e delle istituzioni europee. Intanto, un numero indefinito di falsi studenti africani, ingannati con la promessa di un facile ingresso in Europa, finisce intrappolato nel circuito della schiavitù moderna: nei campi, nei cantieri o nei tanti sex club che punteggiano l’autostrada verso Guzelyurt (Morphou, come la chiamavano i greco-ciprioti).

Molti a Nord non amano i 30.000 soldati turchi di stanza sull’isola, ma hanno ancora viva la memoria degli scontri interetnici; e oggi, quella protezione dai nazionalisti greco-ciprioti presenta un conto salato che non tutti sembrano più disposti a pagare.

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Massimo Sfregola

Giornalista freelance, editore e blogger. Scrive in Italia e all'estero. Vive tra i Paesi Bassi e Cipro si occupa di diritti umani, Medio Oriente, post-colonialismo e subculture.

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