Magrissimi, quasi scheletrici, con segni evidenti di torture sul corpo. Molti sembrano malati, alcuni non possono camminare e vengono trasportati in sedia a rotelle, o a braccia. Negli occhi lo spaesamento di ritrovarsi in mezzo a una folla, la gioia di rivedere le famiglie e gli amici, dopo anni di prigionia, isolamento, torture. Eccoli, i quasi 2000 palestinesi rilasciati, gli ostaggi di cui nessuno parla, mentre i media occidentali raccontano in modo ossessivo ogni dettaglio dei venti ostaggi israeliani riconsegnati a Tel Aviv.
Oltre 1700 di loro erano stati rapiti dalla Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre. Presi nei raid israeliani, per strada, nelle case, veri e propri ostaggi di quella che ancora viene definita “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Altri 250 erano invece prigionieri politici, segregati nelle galere israeliane da anni e che avrebbero dovuto restarci tutta la vita o comunque decenni. Gli abusi, le torture, l’assenza di cure e di condizioni di vita basiche sono state provate da decine di ONG internazionali, e si leggono da sole sul volto degli uomini rilasciati grazie all’accordo di pace tra Hamas e il governo Netanyahu.
Ma ai media nazionali e internazionali gli ostaggi palestinesi interessano poco. Tv e giornali si sono focalizzati sui 20 ostaggi israeliani liberati; ci hanno raccontato le loro storie, le loro vite. Conosciamo i loro nomi, le loro età, se avevano figli, sogni, un lavoro. Ci stanno descrivendo le dure condizioni di vita di questi mesi di prigionia, cercando ancora una volta di collocare il torto e la disumanità dalla parte palestinese, dimenticando, troppo spesso, il contesto in cui quelle detenzioni sono avvenute. E cancellando completamente le sofferenze degli ostaggi palestinesi, prigionieri – spesso detenuti senza processo né capi d’accusa – nelle galere israeliane.
I tg seguono la consegna degli ostaggi israeliani in diretta, e giornali come il Fatto Quotidiano titolano: “Due anni sottoterra, legati, malnutriti, operati senza anestesia”. Parlano di vite di ostaggi “legate dal filo, sottile e fortuito, della sopravvivenza,” dimenticando, forse, che Gaza era un territorio che non ha avuto un attimo di pace dalle bombe per due anni. Dimenticando gli almeno 67mila morti, i bombardamenti a tappeto di case, tende, ospedali, scuole. Parlano di ostaggi lasciati senza cibo, affamati, e non ricordano le centinaia di persone, tra cui molti bambini e anziani deceduti o in condizioni critiche per la mancanza di cibo dato il blocco totale degli aiuti umanitari, in un territorio dove la fame è stata usata come arma. Parlano di persone operate senza anestesia ma non sottolineano che a Gaza in questi due anni essere operati era già un privilegio, data la distruzione sistematica da parte di Israele degli ospedali e l’impossibilità di far arrivare cure. Non dicono niente sui bambini che hanno subito amputazioni agli arti senza anestesia, sulle centinaia di persone morte per l’assenza di medicine voluta da Tel Aviv nella Striscia. Sull’utilizzo della fame per uccidere anche durante la distribuzione degli aiuti.
E in pochi parlano delle condizioni in cui sono usciti gli ostaggi palestinesi. I prigionieri della “democrazia”.
Nelle testimonianze che stanno venendo raccolte, la maggior parte dei prigionieri palestinesi rilasciati riporta dure sofferenze nelle prigioni israeliane. Fame, malattie, botte, e assenza di cure erano armi usate sistematicamente e volontariamente nelle celle di Tel Aviv. L’isolamento, le umiliazioni, così come torture psicologiche e fisiche, alcuni degli strumenti principe dei carcerieri israeliani. Molti riportano l’impossibilità di comunicare con i propri cari e i propri avvocati da anni, e le condizioni di vita estremamente dure, che hanno portato i detenuti a perdere decine di chili e ad ammalarsi. Ma anche stupri: come già testimoniato da ex-prigionieri di numerose strutture detentive sioniste, anche lo stupro – tramite bastoni o cani da guardia – è stata un arma utilizzata. Come se non bastasse, 154 di loro, dopo decenni in prigione, sono condannati all’esilio: non potranno restare con le loro famiglie a Gaza o in Cisgiordania, ma non costretti a emigrare in paesi terzi. A molte famiglie è stato anche negato il permesso di viaggio per andare ad accoglierli in Egitto, così come a tutte le famiglie dei prigionieri liberati a Ramallah è stata vietata ogni forma di festeggiamento. Non una novità, visto che già ad agosto 2024 era uscito un approfondito rapporto, tra l’altro redatto dall’organizzazione umanitaria israeliana B’Tselem, che dettagliava come quella descritta sia la condizione detentiva ordinaria per i palestinesi nelle carceri israeliane. Torture “democratiche” che in passato sono state anche dimostrate attraverso dei video.
Secondo Addameer, un’organizzazione palestinese per i diritti umani che tiene traccia dei prigionieri politici, il numero di persone imprigionate da Israele è aumentato da 5.200 a 11.100 dal 7 ottobre 2023. In questi due anni sono almeno 78 i morti nelle carceri israeliane: morti oscure, morti per botte, torture, assenza di cure, ma di cui di nuovo, nessuno parla. La maggior parte di quei cadaveri risiede ancora in mano israeliana.
Non si parla nemmeno dei corpi dei 90 palestinesi uccisi che sono stati restituiti e che sono arrivati all’ospedale di Nasser martedì e mercoledì. «Ci sono segni di tortura ed esecuzioni», ha affermato Sameh Hamad, membro di una commissione incaricata di ricevere i corpi all’ospedale Nasser ad Al Jazeera. I corpi appartenevano a uomini di età compresa tra i 25 e i 70 anni. La maggior parte aveva delle fasce intorno al collo, compreso uno che aveva legata una corda. La maggior parte dei corpi indossava abiti civili, ma alcuni indossavano uniformi, il che suggerisce che fossero combattenti palestinesi. «Quasi tutti avevano gli occhi bendati, erano stati legati e avevano ricevuto colpi di pistola tra gli occhi. Quasi tutti erano stati giustiziati», ha detto il dottor Ahmed al-Farra, capo del reparto pediatrico dell’ospedale Nasser, secondo quanto riporta The Guardian. «C’erano cicatrici e macchie di pelle scolorita che dimostravano che erano stati picchiati prima di essere uccisi. C’erano anche segni che indicavano che i loro corpi erano stati maltrattati dopo la morte».