giovedì 16 Ottobre 2025

Ecuador: la repressione brutale dell’esercito contro le proteste indigene

Da un mese, in Ecuador la popolazione indigena sta protestando contro le misure neoliberiste imposte dal governo del presidente Daniel Noboa. Ad accendere la miccia del malcontento popolare è stata, in particolare, la decisione di abolire il sussidio sul diesel, in vigore dal 1974, che ha fatto impennare il prezzo del carburante. Dal 15 settembre blocchi stradali e cortei paralizzano la nazione, in particolare la provincia di Imbabura e la zona di Otavalo. Il governo ha deciso di rispondere seguendo la linea repressiva, dichiarando lo stato di eccezione in 7 province e inviando esercito e forze di polizia. Almeno due persone sono state uccise fino ad ora, oltre un centinaio quelle ferite. Altre cento persone almeno sono state arrestate e una dozzina sono scomparse, mentre altrettante sono a processo per atti di terrorismo. Il 14 ottobre, in uno degli atti repressivi più violenti dall’inizio delle proteste, migliaia di militari hanno fatto irruzione nella città di Otavalo a bordo di quello che il governo aveva definito un «convoglio umanitario», lanciando lacrimogeni e granate stordenti direttamente contro le persone e le abitazioni e ferendo gravemente bambini e anziani.

Sono oltre una trentina gli arresti «arbitrari» avvenuti nel corso di questa sola ultima operazione, più di 50 i feriti. «La forza pubblica ha bloccato l’accesso agli ospedali e ha fatto irruzione nei centri di salute, infastidendo il personale medico e negando la possibilità di attendere i feriti, in piena violazione del diritto internazionale umanitario» denuncia la CONAIE (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador), che sottolinea come «queste azioni costituiscono violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani». Un uomo della comunità kichwa di 30 anni, José Guamán, sarebbe inoltre stato ucciso da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine, che lo ha colpito in pieno petto. Un’altra persona, Rosa Elena Paui, sarebbe deceduta per arresto cardiorespiratorio causato dall’inalazione di gas lacrimogeni. 

 

L’assedio armato dello Stato è tale che la CONAIE ha indetto una colletta di viveri, medicine e beni basici per aiutare le comunità colpite dell’Imbabura e ha chiesto la fine della repressione e il ritiro delle forze militari da Otavalo, oltre all’attenzione medica «urgente, imparziale e senza persecuzioni» nei riguardi dei feriti, la liberazione immediata delle persone detenute, indagini indipendenti sugli «abusi della forza pubblica» e l’intervento urgente di organismi per la tutela dei diritti umani, come la Corte Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), l’ONU e l’OHCHR (l’Ufficio ONU per i Diritti Umani), per documentare quanto accaduto. Nel frattempo, la Confederazione ha smentito le informazioni circolate su alcuni mezzi stampa nazionali riguardo un presunto incontro tra il suo presidente, Marlon Vargas, e rappresentanti del governo, che avrebbe portato a una sospensione delle proteste.

In un comunicato stampa, la CIDH ha riferito di aver assistito a casi di uso eccessivo della forza da parte delle autorità e di deliberati atti di violenza contro le persone che stavano protestando, mentre condanna la morte, avvenuta il 28 settembre, di Efraín Fueres, le cui circostanze sono ancora al vaglio delle autorità. Non si salvano nemmeno i giornalisti, con oltre 20 casi di aggressione fisica e vessazione contro chi si occupava di raccontare le mobilitazioni registrati dal Relatore Speciale per la libertà di espressione (RELE). Inoltre sarebbe stata sospesa per 15 giorni la trasmissione di informazione indigena TV MICC, su disposizione dell’Agenzia di Regolazione e Controllo delle Telecomunicazioni (ARCOTEL), col motivo di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale (e con il probabile obiettivo di inibire la partecipazione sociale, denuncia il RELE).

Lo Stato ha risposto alle accuse dicendo che ha agito nel rispetto dei principi di legalità, necessità, proporzionalità e temporalità per proteggere i diritti dei cittadini e di stare investigando sulle accuse di uso eccessivo della forza, aggiungendo che i disordini sono stati causati dall’infiltrazione del crimine organizzato nelle proteste. Nel frattempo, la Croce Rossa ecuadoriana, in una lettera inviata al governo e citata dai media, ha smentito le dichiarazioni delle forze armate in merito alla propria partecipazione al cosiddetto “convoglio umanitario” inviato in Imbabura, ma confermato la propria presenza sul luogo per aiutare i feriti.

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.

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