martedì 14 Ottobre 2025

L’allarme del fondatore di Telegram: l’internet libero sta per finire

«Sto per compiere 41 anni, ma non ho voglia di festeggiare. La nostra generazione sta esaurendo il tempo per salvare l’Internet libero costruito per noi dai nostri padri». Con queste parole Pavel Durov ha scelto di trasformare il giorno del suo compleanno in un monito pubblico. Niente auguri, nessuna celebrazione: il fondatore di Telegram lancia un allarme evocando un futuro in cui il tempo per salvare la libertà digitale sta per esaurirsi. Il richiamo non è rindirizzato solo ai colleghi delle Big Tech: è un appello globale rivolto a chiunque usi la rete, in tutti i continenti, prima che quello che consideravamo un diritto si trasformi in uno strumento di sorveglianza di massa. Quella che un tempo era la promessa di uno scambio di informazioni orizzontale, libero da confini e controlli, si sta oggi trasformando – secondo Durov – «nel più potente strumento di controllo mai creato».

Nei messaggi diffusi via Telegram e sul suo profilo X, Durov denuncia che Paesi che un tempo si definivano “liberi” stanno imboccando vie che sembrano uscite da romanzi distopici. La difesa della privacy, per lui, non è però solo tecnica, è anche politica e culturale. Telegram nasce, infatti, dalla libertà di pensiero dei fratelli Durov (celebre la frase di Pavel: «Preferisco morire anziché permettere a terzi di accedere ai messaggi privati su Telegram), con l’obiettivo di poter creare una piattaforma dove le comunicazioni potessero essere sicure e private, ma soprattutto libere dall’ingerenza politica. Telegram è la prima app a usare la crittografia end-to-end, ha sparso i data center in tutto il mondo e ha scelto come sede centrale Dubai. Sulla base della sua visione della libertà digitale, Durov ha criticato apertamente il Chat Control europeo, i sistemi di identificazione digitale e i controlli sull’età online. Per lui, la privacy è un diritto umano fondamentale e ogni legge o misura che la riduca rappresenta un passo verso Internet controllato e sorvegliato. E snocciola alcuni esempi: l’implementazione del sistema di identità digitale nel Regno Unito, i controlli obbligatori sull’età in Rete in Australia, la scansione di massa dei messaggi privati nel contesto europeo. Avverte che la Germania sanziona chi critica funzionari via web, che il Regno Unito procede a incarcerazioni per un tweet e che la Francia avvia indagini penali contro leader digitali che difendono privacy e libertà. Un mosaico in cui il controllo statale si estende, la dissidenza viene criminalizzata e la rete diventa un recinto.

Le sue parole assumono un peso ancora maggiore dopo le recenti vicende giudiziarie che lo hanno visto protagonista lo scorso anno. La sera del 24 agosto 2024, appena atterrato con il suo jet privato all’aeroporto di Le Bourget, l’imprenditore russo con cittadinanza nevisiana, francese ed emiratina, è stato arrestato dalla gendarmerie con dodici accuse a suo carico: dalla complicità nella diffusione di materiale pedopornografico al traffico di droga, dall’omessa collaborazione con le autorità alla fornitura di strumenti di crittografia “fuori standard”. La notizia ha fatto il giro del mondo, gettando nello scompiglio i media, dividendo l’opinione pubblica e scuotendo le fondamenta delle Big Tech: che sia solo l’inizio di una operazione di rastrellamento degli imprenditori digitali divergenti? Il suo arresto rappresenta uno spartiacque per la libertà di espressione: si inserisce in un contesto più ampio di quei tentativi sempre più aggressivi da parte dei governi di soffocare ogni voce libera o dissidente. Il nodo centrale dell’indagine era stata la mancata moderazione dei contenuti su Telegram e la scarsa cooperazione con le forze dell’ordine. Per Durov, però, l’inchiesta rappresenta qualcosa di più: il segnale che persino in Occidente la libertà digitale è ormai vista come una minaccia. Il paradosso è che con il suo arresto non è stato perseguitato da un regime autoritario, ma da un Paese – la Francia – che si proclama culla dei diritti umani. A evidenziare l’anomalia è stato persino il Cremlino, con cui non sono mai corsi buoni rapporti: «Le accuse sono gravi e richiedono prove solide – ha dichiarato il portavoce Dmitrij Peskov – altrimenti sarà evidente che si tratta di un tentativo di intimidazione». Durov non è nuovo a scontri con i governi. Nel 2014 rifiutò di consegnare al governo federale russo i dati personali di un gruppo attivo su VK, che protestava apertamente contro Putin, scegliendo l’esilio. Lo scopo principale del CEO, infatti, era quello di avere la massima libertà da ogni costrizione politica. La sua piattaforma doveva poter non essere controllata, perché la sua filosofia vede un sistema di comunicazione privo di regolamentazioni, moderazioni e costrizioni.

Il suo allarme, oggi, a più di un anno dal suo arresto e rilascio, non nasce dal vuoto e appare come il manifesto di un’epoca in bilico: Telegram è sempre stato un simbolo, per molti, di comunicazione libera e cifrata. Il suo messaggio funziona da catalizzatore: spinge a mettere al centro il tema della sovranità digitale, della trasparenza normativa, della governance della rete. Se l’Internet libero è davvero in pericolo, non si tratta di difendere un’idea astratta, ma una condizione essenziale per la democrazia contemporanea e la sopravvivenza stessa del pensiero critico. Dietro l’atlante delle presunte violazioni si innesta, infatti, un’idea di battaglia civile, un invito alla resistenza digitale. Durov sostiene che la generazione attuale rischia di passare alla storia come l’ultima che ha conosciuto la libertà, quella che ha permesso che le sue stesse libertà venissero progressivamente tolte. «Un mondo oscuro e distopico si avvicina rapidamente – mentre noi dormiamo», scrive. Non è solo una denuncia, ma un’esortazione implicita: mobilitarsi, creare infrastrutture di resistenza, difendere strumenti cifrati, sostenere modelli decentralizzati, fare della privacy un tema non tecnico ma politico. Tra poteri che reclamano l’accesso totale ai dati e cittadini sempre più sorvegliati, la rete rischia di smettere di essere un luogo di libertà per diventare il più sofisticato sistema di controllo globale. Durov invita a scegliere da che parte stare: è un richiamo all’azione, perché il tempo a disposizione resta poco e ogni tentennamento rischia di accelerare la corsa verso la distopia.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.

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