Si intensifica lo scontro tra Stati Uniti e Venezuela, con un’escalation di provocazioni militari da parte di Washington e una scambio di accuse incrociate. Caracas denuncia una serie di azioni militari statunitensi, definite “illegittime” e imputa alla marina statunitense di aver assassinato undici civili, identificati da Washington come narcotrafficanti del gruppo denominato Tren de Aragua. Secondo il ministro degli Interni venezuelano, Diosdado Cabello, nessuna delle vittime apparteneva all’organizzazione e ciò che si contesta è l’assenza di indagini trasparenti o di una regolare procedura di arresto, sostituite da un uso immediato e letale della forza. Parallelamente, venerdì 12 settembre un episodio che il ministro degli Esteri Yván Gilun ha definito un “atto ostile e illegale” è avvenuto in acque territoriale del Venezuela: il cacciatorpediniere USS Jason Dunham avrebbe intercettato il peschereccio venezuelano Carmen Rosa con nove pescatori e lo avrebbe occupato per otto ore impedendo comunicazioni e attività normali. Il governo USA non ha confermato l’operazione. A ciò si aggiunge l’invio di jet F-35 a Porto Rico e l’ammassamento di navi da guerra e sottomarini al largo delle coste venezuelane, come parte del dispiegamento ordinato dal presidente Donald Trump nei Caraibi per rafforzare le operazioni contro il traffico di droga. La presenza militare statunitense nei Caraibi non è limitata a operazioni antinarcotici: assume una dimensione strategica, che il governo venezuelano considera una istigazione calibrata per mettere alla prova la risolutezza di Caracas e preparare il terreno per una escalation.
Il Ministero della Difesa venezuelano denuncia, inoltre, che le operazioni di intelligence statunitense sono triplicate in agosto e avvengono ormai quotidianamente, anche di notte, violando lo spazio aereo della Regione di Informazione di Volo (FIR, Flight Information Region) di Caracas. Sono segnalati voli non autorizzati da parte di aerei spia USA (come RC-135, E-3 Sentry, KC-135), che operano fino a 200 miglia all’interno del territorio venezuelano. Caracas accusa Washington di voler costruire una narrazione che giustifichi una minaccia militare e un futuro intervento e assicura che proteggerà i suoi pescatori e respingerà ogni attacco. In risposta a queste ripetute provocazioni, infatti, il presidente Nicolás Maduro ha avviato il “Plan Independencia 200”, che contempla l’attivazione di 284 “fronti di battaglia” in punti strategici del Paese, con l’obiettivo dichiarato di preservare la sovranità nazionale. Il Piano prevede l’arruolamento nella Milizia Bolivariana, addestramento territoriale e fasi di lotta disarmata e armata, affidando a ogni cittadino un ruolo nella difesa nazionale. Con oltre 15.000 unità popolari coordinate dai Consigli Comunali, l’iniziativa mira a proteggere il Paese, mantenendo «le coste libere da imperialisti, invasori e gruppi di violenza». Le accuse venezuelane puntano anche a evidenziare la discrepanza tra le affermazioni di Washington e i fatti documentati da Caracas. Sui casi recenti si notano analogie con operazioni passate in cui gli Stati Uniti hanno giustificato interventi navali, attacchi o addirittura golpe nel contesto della lotta al narcotraffico, senza fornire prove concrete o trasparenti che potessero giustificare tali azioni. Per il Venezuela ciò rappresenta non solo una violazione del diritto internazionale – in particolare della zona economica esclusiva che garantisce diritti sovrani al Paese fino a 200 miglia nautiche dalla costa – ma un uso strumentale della lotta alla droga per coprire obiettivi geopolitici.
Un tema centrale della critica venezuelana riguarda, infatti, la narrazione che Washington utilizza per giustificare queste operazioni. Il governo statunitense bolla come “terroristi” o “narcotrafficanti” le persone coinvolte in questi fatti di cronaca e accusa il presidente Maduro di connivenza o controllo criminale. Un contributo significativo alla difesa dell’immagine venezuelana in campo internazionale arriva dall’ex vicesegretario generale dell’ONU, Pino Arlacchi, e che ha definito come «una grande bufala geopolitica» l’impostazione secondo la quale il Venezuela sarebbe un narco-Stato: i dati del Rapporto Mondiale sulle Droghe 2025 dell’UNODC smentiscono, infatti, che il Venezuela sia un centro significativo di produzione o smistamento internazionale della cocaina, indicando che solo una frazione marginale della droga colombiana transita attraverso il suo territorio, e che non esistono prove credibili che colleghino lo Stato venezuelano al fantasioso Cartel de los Soles, come entità centrale del narcotraffico. Le rotte della droga seguono logiche precise: vicinanza ai centri di produzione, facilità di trasporto, corruzione delle autorità locali, presenza di reti criminali consolidate: criteri che il Venezuela non soddisfa del tutto. Per questo motivo, Caracas respinge le accuse americane, affermando che la designazione di narco-Stato sia parte di una strategia di “cambio di regime” attuata attraverso pressioni esterne, sanzioni, attacchi militari indiretti e propaganda.