Giornalmente non consumiamo solo prodotti. Ci nutriamo di parole, foto, video, suoni. Tutto quello che ci circonda ed entra in contatto con la nostra persona in qualche modo contribuisce a nutrire (o avvelenare) la nostra mente e, di riflesso, il nostro corpo. Il potere delle immagini è spesso sottovalutato ma, di fatto, quello che vediamo costantemente sotto forma di fotografie, video, campagne pubblicitarie, tendenze social, diventa parte di un linguaggio comune: codici estetici e visivi ai quali siamo abituati e che disegnano la realtà. Una realtà che, al momento, è popolata di immagini reali ed altrettante artificiali, prodotte da quelle intelligenze che, nutrite ad arte da milioni di elaborati generati dall’ingegno umano, sfornano remix di tutto rispetto. A volte. A volte le foto realizzate con l’AI producono reazioni controverse, come nel caso dell’ultima campagna di Guess pubblicata sul numero di agosto di Vogue America.
Una ragazza bionda, lineamenti perfetti, pelle liscia come quella di una bambola, vestita con un abito a zig zag beige e nero abbinato a una borsa e a un rassicurante sandalo tacco 10. La posa è quella tipica di milioni di campagne pubblicitarie di moda: spontanea ma con gli accorgimenti giusti, sorridente ma non troppo (nella moda le espressioni devono essere sempre un po’ sofferenti), maliziosa ma senza esagerare. Immagine patinata, ogni dettaglio al suo posto, dalle luci alle ombre funziona tutto. Se non fosse per quella minuscola dicitura a margine – alla quale solo certosini sfogliatori di riviste possono fare caso – che dichiara: «Prodotta da Seraphinne Vallora con l’intelligenza artificiale». Ed eccola lì, la prima campagna pubblicitaria con una modella “fantasma” ad atterrare sulla rivista di moda più famosa del mondo. Un momento effettivamente «storico», come lo hanno definito le fondatrici dell’agenzia di comunicazione incaricate di questo lavoro direttamente da Paul Marciano, sul quale, però, sono sorte polemiche su più livelli (nonostante l’apparizione sul web di modelle e influencer completamente generate con l’AI non sia certo una novità – ne avevamo parlato qui). Tutti si aspettavano che questo momento, prima o poi, sarebbe arrivato. Allora perché così tanto scalpore?
Il modo cambia, effettivamente, con un discreto risparmio di risorse, anche economiche, e con un impatto ambientale minore (spesso per fare shooting si muovono truppe di venti/trenta persone da un capo all’altro del mondo). La sostanza, però, rimane la stessa. Quello che fa rabbrividire in questa pubblicità è la totale incapacità di uscire dai canoni. Di fatto, la modella creata dall’intelligenza artificiale non è nient’altro che la copia spudorata di un modello stereotipato che le case di moda propinano da anni e anni.
Una bambola bionda, capello sapientemente ondulato (guai ai ricci!), giovane, magra ma con le curve (quelle piatte usavano negli anni ’90 sulla scia di Kate Moss), rigorosamente bianca e con gli occhi chiari, più rassicuranti di un profondo, inquietante ed anche un po’ banale iride color nocciola. E quella pelle liscia oltre ogni filtro di Photoshop, che pure si è sempre usato nella fotografia di moda, ma almeno ultimamente era limitato a ritocchi leggeri che lasciassero alle modelle un alone di umanità. Eppure, dopo anni di battaglie, dopo qualche apparizione di modelle curvy e anche agé (over 60), la moda ha fatto il giro, rimettendoci davanti agli occhi una perfezione totalmente artificiale. Una sconfitta!
Il vero problema, qui, non è tanto la “finzione”, quanto il fatto che a dare gli input per la creazione di questo nuovo personaggio così banale da essere noioso nella sua vuota perfezione, sono state due donne, due “creative” che non sono state in grado di generare niente di più né di meno di quello che ha sempre funzionato. È quello che ancora vende, sostengono, quello su cui si clicca, quello che attira l’attenzione. E così, invece di sfruttare l’AI in maniera originale, lo si fa copia-incollando canoni estetici riesumati dagli anni ’90. Facili, sicuri, socialmente accettati, a prova di maschio medio.
La domanda da porsi, dunque, non è se le modelle artificiali sostituiranno quelle reali, ma: «perché, pur avendo a disposizione uno strumento che permette di creare qualsiasi cosa, dando vita alle estetiche più variopinte e visionarie, non riusciamo a immaginare nuove bellezze?» Forse dobbiamo accettare il fatto di essere così: umani e tremendamente convenzionali.