lunedì 18 Agosto 2025

Tutte le volte che Pippo Baudo è finito nel mirino della mafia

È morto sabato 16 agosto, all’età di 89 anni, il celebre conduttore televisivo siciliano Pippo Baudo. Presentatore di 13 edizioni del Festival di Sanremo, autore di successo e ineguagliabile scopritore di talenti, Baudo assunse però un’inedita veste negli anni più “caldi” della storia politico-criminale italiana: quella di vittima designata di Cosa Nostra. Le prime avvisaglie si ebbero nel 1989, quando nella sua villa di Santa Tecla (Acireale) fu rinvenuto un ordigno rudimentale. Solo pochi mesi dopo, materiale infiammabile venne trovato in un’altra sua residenza. Poi, nel novembre del 1991, un feroce attentato dinamitardo distrusse la villa di Baudo mentre quest’ultimo si trovava a Roma. Infine, l’anno successivo, il piano omicidiario che implicava l’eliminazione del conduttore e di altre figure di spicco del mondo televisivo (tra cui Maurizio Costanzo) che si erano distinte per attacchi su larga scala alla compagine mafiosa. Progetti sanguinari che – al netto di quello nei confronti di Costanzo, consumato senza successo nel 1993 – furono messi da parte per lasciare spazio alla più proficua strategia eversiva e destabilizzatrice che vide Cosa Nostra in prima linea con la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.

Attacchi ripetuti

Come ricostruito dai magistrati in anni di indagini, le prime intimidazioni mafiose nei confronti del conduttore di cui si ha contezza ebbero luogo già il 17 gennaio del 1989. Nella villa di Santa Tecla era stato infatti trovato un rudimentale ordigno esplosivo. Il successivo 4 febbraio, la mafia replicò la sua azione dimostrativa, facendo rinvenire del liquido infiammabile in un’altra villetta di proprietà di Pippo Baudo. Ma fu solo l’anticamera di una mossa ben più impattante. Nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1993, un boato si udì in tutta Santa Tecla: la residenza di Baudo era stata colpita col tritolo. I Vigili del Fuoco impiegano oltre due ore per domare le fiamme. La villa venne completamente devastata e rimasero in piedi solo alcuni pezzi di muro. Baudo si salvò, perché aveva lasciato la casa poche ore prima alla volta di Roma, dove in quel periodo registrava Domenica In. Lo stesso giorno, all’ANSA arrivò una particolare rivendicazione: «Il presentatore di spettacoli di varietà televisivi Pippo Baudo può considerarsi un uomo fortunato. Agli industriali Vecchio e Rovetta, a Bicocca – nella sua città, alla periferia di Catania – necessità ci impose di riservare un destino ben peggiore. Gli consigliamo perciò di non distrarsi». Firmato: «Falange Armata». La stessa sigla usata per rivendicare i delitti della Uno Bianca tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta e numerosi attentati della criminalità organizzata dei primi anni Novanta, tra cui gli omicidi di Antonino Scopelliti, Salvo Lima e Giuliano Guazzelli e le stragi di Capaci, via d’Amelio, Roma, Firenze e Milano, così come l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.

Cause e responsabili

In una conferenza stampa tenuta dal conduttore il 5 novembre del 1991, un giornalista gli chiese: «Puoi immaginare che la mafia possa aver colpito te per colpire, per così dire, il mondo della tv e si è schierato contro Cosa Nostra? Mi riferisco ad esempio a Maurizio Costanzo…». «Potrebbe darsi anche questo, insomma, noi facciamo il nostro dovere di uomini civili di un Paese che speriamo sia civile – rispose Baudo -. Quando capita l’occasione di potersi esprimere e dire delle cose le diciamo. Penso che ognuno di noi debba farlo, perché ha il dovere di farlo». Effettivamente, pochi mesi prima, Baudo era intervenuto in una puntata speciale del Maurizio Costanzo Show incentrata sulla lotta alla mafia, esprimendosi senza mezzi termini contro gli uomini di Cosa Nostra e ricordando con orgoglio il giudice Rocco Chinnici, ideatore del pool antimafia, ucciso nel 1983 dalla consorteria mafiosa con un’autobomba. Le indagini degli inquirenti appurarono col tempo che a ordinare l’attentato alla villa di Baudo, concepito dal mafioso Marcello D’Agata, era stato direttamente il superboss catanese Nitto Santapaola, alleato di ferro dei corleonesi e giunto al potere della città etnea dopo la seconda guerra di mafia, che vide il gruppo di Riina e Provenzano vincitore nei primi anni Ottanta. A fornire uomini e mezzi per l’azione delittuosa fu il boss di Acireale Sebastiano Sciuto, che venne condannato a 15 anni e sei mesi di reclusione.

La “spedizione” romana

Ma c’è di più. Perché, come ricostruito dai magistrati che si sono occupati della stagione omicidiario-stragista che tenne in scacco l’Italia nei primi anni Novanta fino al fallito attentato allo Stadio Olimpico del gennaio ’94, i piani di morte di Cosa Nostra nei confronti di Baudo e di altri importanti personaggi del giornalismo e dell’intrattenimento televisivo si estesero anche ai mesi successivi. Nel febbraio del 1992, infatti, i programmi di morte di Totò Riina si concentrarono su Roma, dove venne inviato un commando di mafiosi con l’obiettivo di colpire Giovanni Falcone (all’epoca direttore generale degli affari penali al ministero della Giustizia), l’allora Guardasigilli Claudio Martelli e altri personaggi che si erano distinti nella battaglia mediatica contro la mafia, come Maurizio Costanzo, Michele Santoro e Pippo Baudo. Poco dopo, però, Totò Riina diede l’ordine ai suoi uomini di rientrare in Sicilia. In ballo c’era «qualcosa di più grosso». Il resto è storia, con l’omicidio del democristiano Salvo Lima – asse portante dell’alleanza politica tra mafia e DC dall’epoca del “sacco di Palermo”, ucciso il 12 marzo 1992 per non aver ottemperato all’impegno di dirottare il Maxiprocesso verso un nulla di fatto – e l’inaugurazione della “strategia della destabilizzazione” con l’attentato di Capaci del 23 maggio del 1992, seguito dalla strage di via D’Amelio a soli 57 giorni di distanza.

L’attentato a Costanzo

Tra la morte di Falcone e quella di Borsellino, ebbe inizio la “Trattativa Stato-mafia”, con l’apertura al dialogo che gli ufficiali del ROS dei Carabinieri (poi processati e assoltu per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato) lanciarono ai vertici di Cosa Nostra per il tramite dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Una mossa che, secondo le Corti di Firenze che si sono pronunciate sul tema, instillò nei capimafia l’idea che la strategia stragista «pagasse» e che, dunque, fosse funzionale portarla avanti anche nel 1993 al nord e al centro Italia, puntando al patrimonio artistico dello Stato. Eppure, il primo appuntamento di quell’annata di sangue fu organizzato per versare altro sangue: il 14 maggio, andò in scena l’attentato – fortunatamente fallito, ma che provocò comunque decine di feriti – in via Fauro, nei pressi degli studi del “Maurizio Costanzo Show”, proprio ai danni di Costanzo. Il quale si salvò, insieme a sua moglie Maria de Filippi, solo grazie a un cambio di automobile deciso all’ultimo.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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