Slavoj Žižek, il filosofo sloveno annoverato tra i pensatori più influenti del secolo attuale, che ha fondato la sua personale elaborazione teoretica partendo dagli assunti di Lacan come strumenti per interpretare il contesto politico e sociale attuale. Come filosofo, analista politico e culturale ha prodotto una sterminata produzione di articoli e saggi. Ponte alle Grazie ha dato alle stampe una raccolta di articoli pubblicati tra il giugno del 2024 e l’aprile del 2025 su vari quotidiani, riviste cartacee e online che hanno per oggetto, come si evince chiaramente in modo lapalissiano dal titolo Trump e il fascismo liberale, la controversa figura dell’attuale presidente statunitense Donald Trump.
Fascismo liberale, sintagma creato ad hoc, che allude ad una caratteristica peculiare del nuova ideologia della destra mondiale, un tempo definita populista e oggi ormai al governo in molti Paesi, in cui associa la filosofia politica del fascismo a quello delle corporation/multinazionali d’oltreoceano. Partendo da questa definizione e facendo un ragionamento di tipo sillogistico, secondo Žižek Trump rappresenta da una parte il carattere liberale-liberista in cui auspica un libero mercato da qualsiasi tipo di vincolo giuridico e commerciale; dall’altra il fascismo, dato che lo stesso presidente Usa persegue obiettivi politici contraddistinti da una nuova forma di autoritarismo, tramite l’emanazione di ordini esecutivi dove viene sistematicamente eluso in toto il potere legislativo, andando quindi ad agire come un monarca assoluto. Potere presidenziale che si avvale anche della cancellazione di qualsiasi comportamento etico, antisessita e antirazzista.
Trump è un prodotto della società postmoderna, contraddistinta da valori contraddittori in cui la sua nuova grammatica ideologica, esposta con le esternazioni pubbliche che infrangono qualsiasi regola della comunicazione ed educazione. Proprio l’utilizzo del turpiloquio nel linguaggio è solamente una forma di “mistificazione sociale” e le stesse esibizioni volgari risultano essere ipocrite, perché fingono di interessarsi ai problemi dei comuni cittadini statunitensi, ma che di fatto fanno gli interessi ideologici e materiali degli ambienti affini alle big corporation al quale lo stesso Presidente Usa appartiene. Quindi, il suo comportamento contraddistinto da volgari dichiarazioni non è solamente un’esternazione di un ottuagenario, ma è un metodo pragmatico, definito dallo sloveno con il sintagma di strategia populista. Oramai è chiaro che questa tipologia di populismo trumpiano non è solamente un accidente della storia, come erroneamente lo stesso Žižek aveva ipotizzato in occasione della sua prima vittoria elettorale nel 2016, ma come egli stesso ammette, tramite un ragionamento e terminologia hegeliana, una necessità storica che caratterizza la società statunitense. Questo tipo di populismo è, per il Filosofo sloveno, imputabile ad una serie di cause: reazione da parte del ceto medio statunitense al fallimento dello Stato sociale; problema di carattere culturale dei ceti medi bassi degli Stati Uniti, dove quando una questione complicata viene posta con un linguaggio basato sull’ilarità, oscenità e una finta solidarietà le persone coinvolte sono disposte a ingoiare delle bugie, pur consapevoli di quanto gli sta venendo detto. Il problema è che di fronte a tali abusi gli stessi organi che hanno fondato la società liberale statunitense, come la stampa, si trovano in una fase di stasi. Infatti i media tradizionali non son più opinion maker a causa di un totale disinteresse intellettuale e apoliticismo in larghi strati della società statunitense, quest’ultima vittima di falsi stereotipi educativi dai media digitali, dove lo stesso Trump si fa il diretto mediatore con il singolo individuo tramite i suoi post diretti con la sua piattaforma personale, Truth.
Dal punto di vista della politica estera di Trump, Žižek sostiene che la sua linea si adatta alla concezione geopolitica dei paesi Brics, contraddistinta da una sfera d’influenza multilaterale dove solamente pochissimi Stati possono determinare la loro sfera d’influenza, limitando di fatto la sovranità sugli altri Stati confinanti. Tale connessione si adatta alla volontà retorica trumpiana nelle mire sul Canada, Groenlandia e Canale di Panama. Geopolitica trumpiana che viene posta in analogia al romanzo distopico 1984 di Orwell, dove le tre superpotenze: Oceania, Eurasia ed Estasia si spartivano il globo ed erano in perenne conflitto tra di loro.
Invece, per quanto concerne la politica economica statunitense, riprendendo le teorie economiche di Yanis Varoufakis, la strategia di Trump è quella di dare un nuovo corso dell’economia a stelle e strisce, che consiste nel trattare con ogni singolo Stato con l’obiettivo di aumentare la bilancia commerciale in favore degli Usa e contemporaneamente non intaccare i profitti che hanno gli Usa nell’esportazione.
Ma davanti a questi scenari che postura deve avere l’Unione Europea? La risposta dell’Intellettuale è chiara: l’Europa, per opporsi all’egemonia trumpiana, deve impedire che nascano monopoli dal punto di vista economico, pena la sopravvivenza della libertà di mercato. Quindi deve perseguire l’obiettivo di continuare ad avere un forte mercato regolamentato. un’altro punto importante è inerente l’annoso problema del settore dell’autonomia per quanto riguarda la difesa. Anche qui il giudizio è netto, senza molti giri di parole: l’Europa deve costruire un proprio esercito, sia in funzione antirussa e anche contro gli Stati Uniti, con lo scopo di emanciparsi «dall’ombrello nucleare» di questi ultimi. Investimenti militari in Europa, che non fanno parte di una nuova fase verso una deriva autoritaria, ma che invece può contribuire anche a produrre una spinta per una ripresa economica dal punto di vista della manifattura che attualmente si trova in una fase di declino sistemico.
Scrive Žižek, che il fenomeno del trumpismo non si concluderà quando uscirà di scena Trump, ma il suo posto potrà essere preso dall’attuale e vicepresidente J. D. Vance, suo erede diretto naturale. Se il primo ha una forma caricaturale di questa ideologia, il suo probabile successore invece risulta essere un «robot piatto, manipolatore e manipolato, creato e dominato da Peter Thiel» (quest’ultimo è l’anarco-imprenditore, colui che ha lanciato nel mondo della politica Vance). Al posto della forza buffonesca trumpiana, c’è la concreta possibilità che tra qualche anno si potrebbe dare l’avvio ad un regime oppressivo in modo palese.
Tuttavia, quanto enunciato dal Filosofo in merito la previsione di un futuro non molto prossimo di un totalitarismo a guida statunitense, il quale sembra adottare un carattere metodologico fondato su una concezione deterministica del corso degli eventi, non mettendo in conto una moltitudine di fattori, sia di natura interna, sia esterna agli Usa, che potrebbe scompaginare qualsiasi previsione. Resta il fatto dell’importanza che ha questa raccolta di articoli che può essere utile a delineare, in maniera critica, l’approccio teoretico di Žižek di fronte alla particolare contingenza storica.