Nel 2022, un gruppo di scienziati californiani aveva tentato di condurre un esperimento sul clima, poi interrotto dopo appena venti minuti dalle autorità locali che non ne erano state informate. Sembrava un episodio isolato, poco più che una prova tecnica, ma un’inchiesta rivela ora che quel piccolo esperimento sembrava essere solo l’inizio di una pratica, in quanto nei documenti interni e dai messaggi tra i ricercatori emergerebbe un secondo test mai annunciato pubblicamente e molto più ampio, comprendente un’area paragonabile alla superficie di Porto Rico. Il tutto, secondo oltre 400 documenti interni ottenuti tramite una richiesta di accesso agli archivi all’Università di Washington, con la scelta consapevole di non parlarne affatto e agire nell’ombra per non «spaventare il pubblico». I funzionari dell’Università, intervistati dalla stampa, non hanno risposto nel merito, preferendo sottolineare lo scopo tecnico dell’iniziativa e l’importanza del dimostrare che gli strumenti per creare nuvole possono funzionare in condizioni reali.
La geoingegneria solare è una frontiera controversa della scienza climatica. Si basa su un’idea semplice e radicale: raffreddare il pianeta riflettendo una parte della luce solare prima che raggiunga la superficie terrestre. Tra le tecniche più studiate c’è il rilascio controllato di aerosol nell’atmosfera, capace — in teoria — di abbassare la temperatura globale, un po’ come avviene dopo grandi eruzioni vulcaniche. Ma la sua applicazione è tutto fuorché semplice e, secondo diversi critici, gli effetti collaterali potrebbero includere cambiamenti nelle piogge, impatti climatici disomogenei su scala regionale e problemi in caso di interruzione improvvisa del processo. Anche per questi motivi, la comunità scientifica ha più volte chiesto massima trasparenza, supervisione pubblica e dibattito democratico prima di procedere con qualsiasi sperimentazione, in quanto è opinione largamente condivisa che nulla vada fatto senza un consenso informato dell’opinione pubblica. Ed è proprio su questo punto che la vicenda californiana sembra diventare tutt’altro che rassicurante.
In particolare, secondo i documenti ottenuti in esclusiva dal media statunitense Politico, il primo test di aerosol fu condotto nel luglio 2022 nei pressi della USS Hornet, ad Alameda. Un pallone contenente particelle riflettenti fu lanciato in atmosfera, ma l’operazione fu interrotta poco dopo — appena venti minuti — dalle autorità locali, per mancanza di permessi adeguati. Fino a quel momento, il progetto era stato descritto dai ricercatori come un semplice esperimento dimostrativo, ma l’inchiesta ha portato alla luce uno scenario molto diverso: nelle e-mail private e nei piani di lavoro si parla apertamente di un secondo esperimento, di scala molto più ampia, che non solo non è mai stato annunciato pubblicamente, ma che sembrava essere stato deliberatamente omesso nelle comunicazioni ufficiali. «Non vogliamo spaventare il pubblico», scrive un membro del team in una delle conversazioni interne, mentre un altro suggerisce di non parlare del secondo esperimento fino a quando il primo non fosse stato completato «senza incidenti». Dai documenti si legge che il progetto prevedeva la nebulizzazione di acqua salata su un’area oceanica di 3.900 miglia quadrate, con l’obiettivo di attenuare i raggi solari. Inoltre, secondo l’inchiesta emerge che il test sarebbe stato condizionato al successo del primo – anch’esso mai discusso con le comunità locali e con le autorità – e che il team sperava di ottenere sostegno e risorse governative, come l’accesso a navi ed aerei, per portare avanti la fase successiva. Di fronte alle domande dei giornalisti sul secondo esperimento, l’Università di Washington avrebbe sorvolato la portata del progetto e il suo possibile impatto sui modelli climatici, spiegando che l’obiettivo era soltanto verificare se la tecnologia per generare nuvole fosse operativa in condizioni reali. Nessuna volontà di agire nell’ombra, hanno assicurato, nonostante i documenti interni sembrino raccontare tutta un’altra storia.