sabato 2 Agosto 2025

Una donna ha denunciato l’ASL per tortura: le negò l’accesso al suicidio assistito

Era affetta da sclerosi multipla da oltre vent’anni, costretta a vivere in condizioni di sofferenza estrema, legata a macchinari per la sopravvivenza e totalmente dipendente dai suoi caregiver. Martina Oppelli, donna triestina di 50 anni, ha scelto la Svizzera per porre fine alle sue sofferenze tramite il suicidio assistito. Ma, prima di lasciare il nostro Paese, ha deciso di denunciare chi, a suo dire, l’ha costretta a una tortura istituzionalizzata. Attraverso la sua procuratrice speciale Filomena Gallo – avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni – ha infatti depositato una denuncia-querela nei confronti dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Asugi), colpevole secondo lei di averle negato per tre volte l’accesso legale al suicidio medicalmente assistito. I reati oggetto della denuncia sono pesanti: rifiuto di atti d’ufficio e tortura.

A darne notizia è stato Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e rappresentante legale di Soccorso Civile, durante una conferenza stampa tenutasi a Trieste in seguito al decesso della donna. La vicenda di Oppelli, oltre a riaprire il dibattito sul fine vita in Italia, mette sotto accusa il comportamento dell’azienda sanitaria friulana, che avrebbe – secondo quanto denunciato – ignorato ripetutamente i diritti garantiti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019, conosciuta come “sentenza Cappato-Antoniani”.

Il punto centrale della contestazione è il reiterato diniego, da parte dell’Asugi, a riconoscere la «dipendenza da trattamento di sostegno vitale», uno dei quattro requisiti stabiliti dalla Corte per accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia. Nonostante Martina, come evidenziato dall’Associazione Luca Coscioni, fosse «totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone», senza il cui ausilio non avrebbe potuto svolgere «nessuna funzione vitale e quotidiana», nonostante assumesse «massicce dosi di farmaci» e utilizzasse «la macchina della tosse», senza la quale avrebbe rischiato «il soffocamento», la commissione medica dell’azienda sanitaria ha negato per ben tre volte la sussistenza di quel requisito. L’Asugi, secondo l’Associazione Coscioni, avrebbe persino rifiutato di rivalutare le condizioni cliniche della paziente, sostenendo che un ulteriore esame rappresentasse un costo inutile per la pubblica amministrazione. Una posizione che ha costretto Oppelli a presentare ricorso d’urgenza al Tribunale di Trieste nel 2024, ottenendo un’ordinanza che imponeva nuove verifiche. Il 13 agosto 2024, la ASUGI aveva inviato ai legali della donna la relazione finale e il nuovo parere del NEPC in ottemperanza a quanto ordinato dal Tribunale di Trieste. «Nonostante l’evidente peggioramento delle condizioni di salute di Martina, documentato da copiosa documentazione medica, la ASUGI ha nuovamente negato la sussistenza del requisito del “trattamento di sostegno vitale” e ciò in palese contrasto anche con la nuova interpretazione fornita dalla sentenza n. 135/2024 della Corte costituzionale di questo criterio», spiega l’Associazione Coscioni.

«Non solo le ha negato un diritto, ma l’ha fatta soffrire inutilmente, causandole danni fisici e psicologici che per legge si configurano come una vera e propria forma di tortura», ha messo nero su bianco l’Associazione. Martina ha affermato di essere stata «vittima di un trattamento inumano e degradante da parte delle istituzioni che hanno ignorato le sue sofferenze, costringendola a vivere per anni in una condizione di dolore estremo, aggravata dal rifiuto reiterato e immotivato di Asugi di riconoscerle l’accesso legale alla morte assistita». A sottolineare il valore simbolico e politico della denuncia è stato lo stesso Cappato: «Seguendo le volontà di Martina, abbiamo agito pubblicamente assumendoci le responsabilità per l’aiuto a lei fornito. Questa volta però, con Claudio Stellari, Matteo D’Angelo e Felicetta Maltese, abbiamo deciso di non recarci dalle forze dell’ordine per autodenunciarci, perché la denuncia c’è già, ed è la denuncia di Martina contro uno Stato che l’ha costretta a subire una vera e propria tortura, contro un Servizio sanitario di Regione Friuli Venezia Giulia che non ha fatto il proprio dovere, in linea con le posizioni politiche del presidente Fedriga in materia».

A differenza dell’eutanasia, in cui è il medico a somministrare direttamente il farmaco letale, nel suicidio assistito il paziente mantiene il controllo sull’atto finaleassumendo autonomamente il farmaco prescritto. Questa pratica è legale in alcuni Paesi, come Svizzera, Canada, Belgio e in alcuni stati degli USA, dove è regolata da normative stringenti che prevedono una valutazione medica accurata per verificare la lucidità del paziente e la gravità della sua condizione. In Italia, invece, il suicidio assistito è vietato, sebbene la Corte Costituzionale abbia aperto alla possibilità di non punire chi aiuta una persona a morire, in determinate circostanze stabilite dalla storica sentenza n. 242 del 2019 (caso Cappato-Dj Fabo). Nello specifico, il soggetto deve essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli, affetto da una patologia irreversibile, sperimentare sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili e dipendere da trattamenti di sostegno vitale.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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