Una cinquantina di attivisti impegnati nella lotta contro l’Alta Velocità in Val di Susa dovranno versare complessivamente decine di migliaia di euro allo Stato dopo essere stati condannati a processo. A inviare le cartelle di pagamento è stata, da fine giugno, l’Agenzia delle entrate, che ha dato loro 60 giorni di tempo per procedere al versamento. Venti attivisti, quelli con le accuse più gravi, sono stati condannati a pagare 3.000 euro, mentre molti altri dovranno versare cifre inferiori. Il processo contro i NO Tav riguarda i fatti del 27 giugno 2011, quando migliaia di agenti sono stati mandati a sgomberare il presidio di Chiomonte, che bloccava l’avvio dei lavori per la TAV, e quelli della manifestazione tenutasi in risposta il 3 luglio 2011, in cui si verificarono altri scontri con la polizia. In tale cornice, gli agenti arrivarono a utilizzare oltre 4mila lacrimogeni sui manifestanti, 200 dei quali rimasero feriti.
A distanza di quattordici anni dalle proteste contro l’apertura del cantiere per l’Alta Velocità Torino-Lione a Chiomonte, arriva ora il conto per decine di attivisti No Tav. Coinvolti nel cosiddetto maxi-processo, circa 50 militanti stanno ricevendo cartelle esattoriali per spese processuali e ammende: alcune cifre si aggirano intorno ai 3.000 euro, altre sono più contenute, ma si parla complessivamente di decine di migliaia di euro da versare. Il procedimento giudiziario, avviato dopo gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011 nei pressi della Libera Repubblica della Maddalena, si è protratto per oltre otto anni tra tutti i gradi di giudizio, concludendosi solo tra il 2023 e il 2025. Nonostante la caduta parziale dell’impianto accusatorio iniziale, sono arrivate condanne e richieste di risarcimento che ora l’Agenzia delle Entrate sta esigendo. In aggiunta, l’Avvocatura dello Stato ha recentemente notificato ai difensori degli imputati una diffida per il pagamento di ulteriori 32mila euro, minacciando atti esecutivi sull’intero importo a carico dei soggetti considerati più solvibili, in virtù della solidarietà del debito. Una clausola che rischia di riversare il peso economico su pochi attivisti.
Guido Fissore, uno dei volti storici del movimento, conferma l’avvio di una raccolta fondi per sostenere chi è colpito da queste richieste. «Abbiamo messo da parte una cassa di resistenza, ma non basta», ha spiegato. Sono previste cene, iniziative solidali e appuntamenti come il Festival dell’Alta Felicità per raccogliere contributi. Il movimento denuncia una strategia repressiva che mira a piegare una lotta popolare radicata sul territorio. Secondo i No Tav, il maxi-processo fu infatti un attacco politico più che giudiziario, volto a disarticolare una mobilitazione capillare e resistente, capace di coinvolgere migliaia di persone in difesa della Valsusa.
Il 3 luglio 2011 è una data incisa nella memoria collettiva del movimento No Tav come uno degli episodi più violenti e controversi nella lunga battaglia contro l’Alta Velocità Torino-Lione. Quel giorno, decine di migliaia di persone si mobilitarono in Valle di Susa per riconquistare simbolicamente l’area della Maddalena di Chiomonte, dove era sorto il cantiere del Tav. La manifestazione degenerò rapidamente in un durissimo scontro con le forze dell’ordine. Decine di agenti rimasero feriti, ma a farne le spese furono soprattutto i manifestanti: si contarono oltre 200 feriti, cinque arresti e un uso massiccio della forza da parte della polizia, che scagliò pietre contro i manifestanti e utilizzò perfino una pala meccanica per fronteggiarli. Dai boschi emersero storie di pestaggi, come quello documentato in un video in cui due attivisti, già fermati, vennero trascinati e picchiati dietro le recinzioni. Uno dei carabinieri responsabili, identificato grazie a un tatuaggio, è stato successivamente rinviato a giudizio.
Documenti interni delle forze dell’ordine, emersi anni dopo grazie a un leak di Anonymous, hanno rivelato che furono lanciati ben 4.357 lacrimogeni, molti dei quali contenenti CS, una sostanza chimica vietata in guerra. Nei file si legge che «i lacrimogeni, seppure in uso così massiccio, si sono rilevati inefficaci nell’allontanamento dei manifestanti» e che ebbero «effetti nefasti» sul personale, dal momento che i filtri delle maschere antigas furono «messi a dura prova dalla lunghezza dell’esposizione (6 ore di scontri, pressoché continuativi)» con «frequentissimi episodi di vomito, irritazione cutanea, intossicazione, stato confusionale transitorio».