sabato 26 Luglio 2025

La Cina punta all’Africa per l’internazionalizzazione dello Yuan

L’internazionalizzazione dello Yuan cinese (RMB) è una delle ambizioni strategiche più significative di Pechino, con l’obiettivo di erodere e sfidare il dominio incontrastato del dollaro statunitense come moneta utilizzata negli scambi commerciali globali. Il continente africano si sta rivelando un terreno di prova fondamentale per questa spinta. In un mondo in cui molte nazioni africane cercano alternative ai tradizionali sistemi finanziari occidentali, la Cina sta posizionando la propria valuta come un’opzione praticabile. Questa iniziativa non è solo economica, ma riflette un più ampio riequilibrio dell’influenza finanziaria globale. In questa strategia l’Egitto si sta configurando come partner chiave di Pechino. Di recente i due Paesi hanno firmato una serie di accordi che segnano un passo significativo verso l’aumento dell’uso dello Yuan nel commercio bilaterale e negli investimenti.

Al Cairo, lo scorso 10 luglio, il governatore della Banca Centrale d’Egitto, Hassan Abdalla, ha dato il benvenuto alla sua controparte cinese, Pan Gongsheng, il governatore della Banca Popolare Cinese. In quella giornata, alla presenza del premier cinese, Li Qiang, e del Primo Ministro egiziano, Mostafa Madbouly, è stato firmato un vasto memorandum d’intesa tra i due Paesi. Tra gli accordi firmati: la cooperazione nei pagamenti elettronici, l’espansione del sistema cinese UnionPay in Egitto, le transazioni transfrontaliere in Yuan e le facilitazioni per le banche che operano nella Zona di Cooperazione Economica e Commerciale TEDA Cina-Egitto a Suez. Inoltre, tutte le operazioni finanziarie saranno elaborate attraverso il Cross-border Interbank Payment System (CIPS), ovvero l’alternativa cinese alla rete SWIFT, riducendo così la dipendenza dai sistemi finanziari occidentali. L’Egitto, che dallo scorso anno è un nuovo membro dei BRICS, nel 2023 fu il primo Paese africano a emettere i così detti “Panda Bond”, obbligazioni denominate in Yuan e destinate agli investitori cinesi, raccogliendo 3,5 miliardi di Yuan per progetti di sviluppo.

Queste iniziative permettono all’Egitto di attingere a nuove fonti di finanziamento, diversificando i propri partner finanziari. In questo vi è un allineando della visione strategica egiziana con quella cinese e la sua “Belt and Road Initiative”, ossia quella che in Italia è definita la “Nuova via della Seta”. Sebbene l’Egitto rappresenti oggi il banco di prova principale per l’internazionalizzazione dello Yuan, non è un caso isolato. Numerose altre nazioni africane hanno abbracciato lo Yuan nelle loro transazioni commerciali e finanziarie con la Cina. Il Sudafrica, ad esempio, partner di lunga data all’interno dei BRICS, ha firmato un accordo di swap valutario (accordo su futuri pagamenti) da 30 miliardi di Yuan già nel 2015, col fine di migliorare la propria liquidità commerciale. Lo scorso anno, la Nigeria ha rinnovato un simile accordo per un valore di 15 miliardi di Yuan per promuovere il commercio e gli investimenti. In Angola, un fornitore chiave di petrolio per la Cina, lo Yuan è sempre più utilizzato nelle transazioni energetiche e infrastrutturali, con l’integrazione del CIPS nel suo sistema finanziario. Il Ruanda ha incluso lo Yuan nelle sue riserve valutarie dal 2016, motivato dall’aumento dei rapporti commerciali con la Cina.

Come riportato da Africa Business Insider, Lauren Johnston, ricercatrice senior presso l’AustChina Institute ed esperta di relazioni Cina-Africa, ha osservato che l’Africa offre un «banco di prova strategico per gli obiettivi valutari di Pechino» perché «è un continente dove il commercio con la Cina è importante, ma è anche un luogo dove molti paesi faticano ad accedere a valute estere sufficienti come l’euro o il dollaro USA». Questa situazione offre alla Cina l’opportunità di testare l’internazionalizzazione del RMB, in una regione in cui i volumi economici sono sicuramente minori rispetto alla scala globale ma in cui l’impronta cinese è relativamente ampia.

L’espansione dello Yuan in Africa è parte della più ampia strategia cinese per sfidare l’egemonia del dollaro statunitense e, in particolare, il sistema del petrodollaro. Quest’ultimo, nato dagli accordi USA-Arabia Saudita negli anni ’70, ha reso il dollaro l’unica valuta per le transazioni petrolifere internazionali, conferendo agli Stati Uniti un’enorme leva economica e geopolitica. L’introduzione del “petro-yuan”, tramite contratti futures sul petrolio greggio denominati in Yuan, offre agli stati un’alternativa per il commercio di petrolio, incoraggiando le nazioni esportatrici, specialmente quelle colpite da sanzioni occidentali, ad adottare il sistema cinese. Sebbene sia improbabile che lo Yuan sostituisca completamente il dollaro nel breve termine, il suo ruolo crescente nelle transazioni energetiche globali indica una graduale evoluzione verso un ordine valutario internazionale più diversificato e contestato.

La de-dollarizzazione è un tema ricorrente tra i paesi del “Sud Globale” e il blocco BRICS, i quali promuovono l’uso delle valute locali, lo sviluppo di istituzioni finanziarie alternative e sistemi di pagamento indipendenti. Sebbene la dipendenza dal dollaro in Africa sia ancora alta, con oltre il 70% del debito estero denominato in dollari, l’interesse verso alternative come lo Yuan è in crescita. La digitalizzazione dello Yuan (e-CNY) potrebbe ulteriormente ridurre i costi e i tempi delle transazioni transfrontaliere, offrendo vantaggi significativi per il commercio intra-africano che oggi transita in gran parte attraverso l’Europa o gli Stati Uniti.

In conclusione, la spinta della Cina per internazionalizzare lo Yuan in Africa non è solo una mossa economica, ma una dichiarazione strategica. Pechino, insieme agli altri Paesi BRICS, sta ridefinendo le regole del commercio e della finanza, con l’Africa al centro della sua strategia in campo valutario. Questo sforzo segnala un passaggio verso un sistema finanziario globale multipolare o multilaterale, in cui il dollaro potrebbe coesistere con altre valute dominanti, piuttosto che mantenere il suo monopolio incontrastato.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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