venerdì 25 Luglio 2025

La strana fine di Michele Noschese, il dj italiano morto a Ibiza

Non è stata la musica elettronica, che dosava con passione dalla sua consolle ormai da decenni, né sono stati gli schiamazzi ad accendere la miccia che ha bruciato la sua vita: Michele Noschese, 35 anni, meglio conosciuto come DJ Godzi, è stato infatti vittima di una fine violenta avvolta nel mistero, tra (presunte) allucinazioni, poliziotti, manette e botte.

Alle Baleari, l’alba di sabato 19 luglio sembrava portare una mattina come tante altre. Carrer Lausanne, a Roca Llisa, è un bel viale pieno di villette e appartamenti di lusso, appoggiati su una collina. Un quartiere residenziale sospeso a 300 metri dal mare. Sotto c’è Ibiza Town, che nella stagione estiva è un tempio per turisti e cercatori di emozioni, coi suoi baccanali di musica ed eccessi. Dall’altra parte, Santa Eulalia del Río. Ci sono sicuramente posti peggiori in cui vivere.

Noschese, originario di Napoli, viveva nell’arcipelago più gettonato dai pendolari delle discoteche da ormai 10 anni. Dopo la laurea in Economia e un passato nella Primavera del Napoli, avrebbe potuto diventare un calciatore professionista, ma alle offerte dalla Svizzera preferì la musica, la madre di tutte le passioni, trasformandola in un percorso e in un lavoro. Ha lavorato in giro per il mondo: Londra, Parigi, New York — nel giro lo conoscevano tutti. I DJ, quelli bravi e richiesti, in fondo sono un po’ come i calciatori: molto ricercati e spesso ben pagati.

D’altronde, per uno che vive di mixer, luci e note, ritrovarsi a Ibiza è come chiudere un cerchio: i sogni vanno assecondati, accompagnati — e Michele c’era sicuramente riuscito. Giuseppe Noschese, suo padre, è un medico e ha capito subito che c’era qualcosa che non andava nella notizia e nel racconto di quel figlio morto in modo così rapido e brutale. Ha parlato subito di bastonate, di poliziotti violenti. Ha detto che l’autopsia è stata eseguita in modo frettoloso e che la famiglia aveva subito mandato un proprio consulente da quelle parti.

Il padre di Michele Noschese, il dottor Giuseppe Noschese

I fatti sono sembrati fin da subito molto poco chiari. Nemmeno sugli orari c’era chiarezza, perché i media italiani hanno riportato la vicenda alla notte tra venerdì e sabato. Invece, la testimonianza che potrebbe cambiare tutto — quella di un amico di Michele che era a casa sua — racconta che tutto è successo nelle prime ore del mattino di sabato. Si chiama Raffaele Rocco, ed è un commerciante. Per lui, DJ Godzi era come un fratello, ha detto, e ha aggiunto che è disposto a raccontare tutto in tribunale. Ha dormito a casa di Michele fino alle 7, quando lo stesso Noschese gli ha chiesto di andare a comprare del cibo per gatti. In casa c’erano diverse persone, distribuite tra la casa e la piscina.

Per motivi che al momento nessuno conosce, Michele Noschese, poco dopo le 8, ha varcato la soglia della casa del vicino. Quello che è successo è stato raccontato come una diatriba lunga, protratta nel tempo. La figlia dell’anziano ha raccontato che Michele ha messo le mani addosso a suo padre, gli pestava un piede. Qualcuno ha anche parlato di un coltello, che però Raffaele ha negato di aver visto. Forse ci sono state delle minacce, forse sono volate parole grosse. Da qui a immaginare un finale come quello che c’è stato — con un cadavere, pochissime certezze e molti sospetti — ovviamente c’è un abisso.

La notizia di una telefonata alla polizia per il volume troppo alto da casa Noschese, diffusa inizialmente, vacilla paurosamente. Può darsi che, invece, qualcuno abbia chiesto l’intervento delle forze dell’ordine per l’intrusione del DJ nella casa del vicino. Fatto sta che a interrompere bruscamente la quiete del quartiere, quel sabato mattina, è arrivata la polizia. E la Guardia Civil spagnola, si sa, non ha generalmente una fama propriamente “gandhiana”.

Lo raccontano, per esempio, i turisti italiani che l’hanno vista in azione sulla costa: i loro metodi sbrigativi sono ormai una vulgata molto diffusa. Gli agenti che passeggiano sulla costa iberica roteando manganelli tra la gente sono stati visti da molte persone. E d’altronde esistono da tempo le foto scattate nelle enclavi iberiche di Melilla e Ceuta, in Marocco, con persone aggrappate alle reti e agenti in mimetica nera che menano come fabbri coi manganelli.

Certo, non si può fare di tutta l’erba un fascio e bisogna verificare cosa sia realmente successo a Michele Noschese. Ma ciò che è accaduto nella casa del DJ Godzi è stato riassunto da Raffaele Rocco — al momento unico testimone oculare che si sia fatto avanti — in questo modo: i poliziotti intervenuti hanno ammanettato mani e piedi di Michele e lo hanno bastonato forsennatamente sul letto, tanto che Noschese faticava a respirare. «Lo tenevano fermo, e il ragazzo ha cominciato ad avere difficoltà nel respirare», ha raccontato Raffaele.

Quando gli agenti si sono accorti della sua presenza, non avendo forse immaginato che ci fosse un testimone, gli hanno intimato di andarsene immediatamente. Se fosse confermata, sarebbe una procedura quantomeno singolare per un intervento di ordine pubblico sfociato in tragedia. Di certo, Michele Noschese è stato condotto direttamente in obitorio da casa sua, invece che in ospedale, come ci si sarebbe aspettati. E la domanda se avesse già smesso di respirare al momento dell’uscita da casa aggrava sicuramente la posizione degli agenti, visto che non sarà facile avere una controprova.

Fino a qui, il racconto del testimone e la ricostruzione della famiglia di Noschese, che ha mandato alle Baleari l’avvocato Rosanna Alvaro, supportata dal collega spagnolo Jaime Rog, per cercare di fare chiarezza — e soprattutto salvare il salvabile dal punto di vista giudiziario, in una vicenda che si preannuncia molto dura e complicata. Tanto che il governo italiano, tramite il ministro Tajani, ha fatto sapere di seguire la vicenda da vicino.

La versione della Guardia Civil, naturalmente, è diametralmente opposta a queste — pur frammentarie — ricostruzioni. I poliziotti raccontano di aver trovato una persona sotto l’effetto di stupefacenti, in preda ad allucinazioni, insomma fuori di testa, e di aver cercato di riportarlo alla calma. Nel farlo, tuttavia, hanno ammesso di aver dovuto “fare di tutto” per rianimarlo: ma da cosa, di grazia?

Per coincidenza — anche se magari non sarà questo il caso — non possono non tornare alla memoria i verbali di polizia giudiziaria in cui agenti e uomini delle forze dell’ordine hanno raccontato di persone in preda a convulsioni, agitazione e crisi. In Italia è successo per Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, e la lista purtroppo è lunga. Fatto sta che, al momento, c’è un ragazzo di 35 anni morto per “arresto cardiaco”, come da nota ufficiale della Guardia Civil — ossia la causa di morte dell’intera umanità da sempre. Qualsiasi cosa succeda prima, si muore meccanicamente di quello. Sarebbe come dire che un aereo precipitato si è disintegrato perché ha toccato il suolo, senza spiegare il motivo della caduta.

In foto: Michele Noschese, 35 anni, meglio conosciuto come DJ Godzi

Gli avvocati della famiglia hanno fatto notare che l’autopsia — che esclude eventi traumatici o azioni violente sul corpo di Michele — è assai lacunosa. Da un primo esame sono state escluse lesioni riconducibili a percosse, ma solo con TAC, risonanze o altri esami più approfonditi si può davvero escludere un pestaggio come causa della morte del DJ Godzi. Inoltre — e soprattutto — l’autopsia è stata eseguita senza la presenza di un perito di parte, in poche parole senza che la famiglia fosse rappresentata. E si sa: le autopsie svolte frettolosamente non sono mai foriere di trasparenza. Disporre altri accertamenti autoptici — o semplicemente ottenerli, visto anche il problema della giurisdizione straniera — non sarà semplice. Il padre Giuseppe, che non a caso è medico, ha però incaricato subito un perito in loco, e questo potrebbe essere un elemento fondamentale nel proseguimento della vicenda.

In certi casi la tempestività dei familiari, pur colpiti dal lutto e dal dolore, si rivela una carta decisiva nell’accertamento dei fatti e della verità. Nel caso della morte di Stefano Cucchi, per esempio, se un addetto dell’obitorio non avesse scattato fotografie al cadavere martoriato del ragazzo, probabilmente l’esito giudiziario della vicenda sarebbe stato diverso. In ogni caso, Giuseppe Noschese ha presentato denuncia per omicidio volontario alle autorità spagnole. E la morte di Michele Noschese, fin dall’inizio, assomiglia a tanti altri casi in cui la strada per portare a galla verità e responsabilità si è rivelata molto amara, cupa e dolorosa.

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Salvatore Maria Righi

Giornalista professionista dal 1992, è stato per 15 anni caposervizio e inviato della redazione romana del quotidiano L’Unità, occupandosi di inchieste di cronaca e criminalità. Per L'Indipendente cura la rubrica "pagine oscure d'Italia"

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