mercoledì 16 Luglio 2025

Prima regolarizzati, poi licenziati: gli operai di Forlì bloccano di nuovo l’azienda

Lavoravano 12 ore al giorno per 6 giorni alla settimana, sottopagati e costretti a dormire nello stesso magazzino in cui producevano divani per conto della loro ditta madre, la Gruppo 8, una delle maggiori aziende operanti nel “Distretto dell’imbottito” di Forlì. A dicembre, dopo una settimana di proteste trascorsa dormendo al freddo davanti ai cancelli, erano riusciti a ottenere condizioni di lavoro accettabili: 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, un contratto stabile e una sistemazione in albergo in attesa di trovare casa. Ma quel “sogno”, se così si può chiamare, è durato poco: appena terminate le ultime consegne, sono stati tutti licenziati in tronco.

Parliamo della difficile, e per molti aspetti esemplare, situazione di un gruppo di operai pakistani che lo scorso anno si erano trasferiti da Prato in Romagna per lavorare alla Sofalegname, azienda che produce in subappalto per la Gruppo 8. Dopo pochi mesi dall’accordo raggiunto con i lavoratori, l’azienda ha sospeso la produzione: «Il 3 luglio l’azienda ci ha comunicato che lo stabilimento sarebbe stato smantellato – spiega a L’Indipendente Sarah Caudiero del sindacato Sudd Cobas –. Nel frattempo è partito un procedimento per delocalizzare la produzione in Cina».

A quel punto gli operai sono tornati a manifestare davanti ai cancelli, questa volta sotto il sole torrido di luglio. Hanno montato tende e, da oltre quindici giorni, presidiano l’ingresso della sede madre, la Gruppo 8: gli altri lavoratori possono entrare, ma i camion no. Di fatto, ogni ingresso e uscita di materiali è bloccato: «Stanno causando un danno economico da mezzo milione di euro», ha commentato l’avvocato della ditta, Massimiliano Pompignoli. «Tengono in ostaggio la produzione».

Lunedì scorso, i manifestanti, seduti a terra per impedire il passaggio di un mezzo pesante, sono stati sgomberati con la forza dalla polizia

Con il passare dei giorni, la situazione è diventata sempre più tesa, fino a degenerare lunedì scorso, quando i manifestanti – seduti a terra per impedire il passaggio di un mezzo pesante – sono stati sgomberati con la forza dalla polizia. Nei video diffusi dal sindacato si vedono gli agenti strattonare e gettare a terra con violenza i contestatori: tre operai sono finiti in ospedale per le ferite riportate. «Il messaggio che passa è che le aziende possono fare ciò che vogliono», commenta ancora Caudiero. «Se c’è uno sciopero, interviene la polizia per liberarle del problema».

Lo sciopero, però, non si è fermato. Il giorno successivo gli operai erano di nuovo davanti ai cancelli. Sugli striscioni appesi ai loro tendoni improvvisati si legge: «Vogliamo i nostri diritti 8×5» e «la Gruppo 8 sfrutta e scappa».

«La dinamica è chiara» – continua Caudiero – «C’è una società vuota, la Sofalegname, in cui un caporale ha reclutato persone per tenerle in condizioni di semi-schiavitù. Quando l’azienda è stata costretta a regolarizzare la loro posizione, si è deciso di chiudere lo stabilimento»

Una forma di sfruttamento alla luce del sole, ben conosciuta dai sindacalisti di Sì Cobas, attivi da anni a Prato. In quella città, gli alloggi di fortuna ricavati dentro le fabbriche per gli operai cinesi erano una prassi fino al 2013, quando un incendio alla ditta tessile Teresa Moda causò la morte di otto persone sorprese nel sonno. Per quella tragedia le due titolari sono state condannate, ma nel frattempo sono tornate in Cina. Anche la Gruppo 8 di Forlì ha legami con la Cina: fa capo alla multinazionale della moda HTL, con sede a Singapore. «Queste aziende vengono in Italia per vantarsi del Made in Italy, ma vogliono trovare le regole di altri Paesi. Quando capiscono di dover rispettare le leggi italiane, se ne vanno», afferma Caudiero.

Anche a Prato, Sudd Cobas ha vissuto una stagione di lotte. Nella scorsa primavera si sono contati oltre 70 scioperi e, a ottobre, tremila persone sono scese in piazza dopo le aggressioni subite da alcuni operai durante un presidio. Le proteste hanno però portato anche a risultati concreti: «In molte situazioni siamo riusciti a ottenere contratti regolari e condizioni di lavoro dignitose – conclude Caudiero –. Tutte cose che dovrebbero essere la normalità, ma che invece dobbiamo ancora lottare ogni giorno per difendere».

Ed è proprio questo che stanno facendo oggi, di nuovo, i lavoratori della Sofalegname. Quegli stessi operai che pochi mesi fa credevano di aver trovato una vita migliore, ora resistono sotto il sole, chiedendo solo ciò che in qualsiasi posto di lavoro dovrebbe essere scontato: rispetto, legalità e diritti.

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Fulvio Zappatore

Nato a Cesena nel 1984, muove i primi passi nel giornalismo scrivendo articoli per la stampa locale. Dopo la laurea in Storia contemporanea diventa professionista e inizia a dedicarsi anche al giornalismo televisivo. Collabora a L’Indipendente come corrispondente dall’Emilia-Romagna.

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