martedì 8 Luglio 2025

Le più diffuse app per cellulare che sono state realizzate da agenti israeliani

Dai giochi agli editor di foto, centinaia di app scaricate centinaia di milioni di volte sono il prodotto di una rete invisibile: quella di ex spie israeliane e membri dell’intelligence militare. Queste applicazioni costituiscono canali opachi che convogliano enormi entrate verso un’economia di occupazione, apartheid e genocidio, complici silenziose di un’ideologia e di una volontà di supremazia e annientamento. Un’inchiesta giornalistica ha infatti mostrato come individui con un passato nell’Unità 8200 dell’intelligence israeliana o nell’esercito riciclino le loro competenze in un’industria tech fiorente. Non si tratta propriamente di una novità: più di una volta abbiamo parlato dei profondi legami e rapporti tra le Big Tech e Israele, così come della porta girevole che mette in comunicazione le grandi aziende tecnologiche con gli apparati di sicurezza e le start-up israeliane, nel settore tecnologico come anche in altri settori ritenuti strategici. Vale la pena però conoscere sempre meglio tutti i fili e tutte le mani che si stringono attorno al popolo palestinese, così come su quelli che lo sostengono.

L’inchiesta riporta come Gal Avidor, fondatore e CEO di ZipoApps, colosso che acquisisce e monetizza app su larga scala, abbia ammesso che tutti i fondatori dell’azienda provengono dall’Unità 8200. App come Collage Maker Photo Editor e Instasquare Photo Editor, con centinaia di milioni di download, convogliano enormi quantità di dati e di profitti. Non a caso, gli utenti si lamentano da tempo delle aggressive politiche di privacy e data mining di ZipoApps: un’app come Simple Gallery è passata da gratuita e open source a un prodotto invasivo con tracker, solo una settimana dopo essere stata acquisita da Zipo.

Ma la lista è lunga. Playtika, quotata al NASDAQ con oltre 2,5 miliardi di dollari di ricavi, è un produttore di app di gioco d’azzardo saldamente invischiato nella macchina da guerra. Fondata da Uri Shahak, figlio dell’ex capo dell’IDF Amnon Lipkin-Shahak, l’azienda ha ammesso che il 14% del suo personale è stato richiamato come riservista per andare a Gaza. Bazaart, un’app di fotoritocco basata sull’IA, è stata fondata da ex ufficiali dell’intelligence dell’IDF, Dror Yaffe e Stas Goferman. Stessa cosa per Facetune di Lightricks, co-fondata da Yaron Inger, veterano dell’Unità 8200. Supersonic di Unity, uno dei maggiori editori di giochi mobile al mondo, che tra i suoi titoli ha un gioco chiamato Conquer Countries, è stata fondata da Nadav Ashkenazy, con un passato nell’IDF. 

Crazy Labs, con un valore stimato di circa 1 miliardo di dollari, è un altro produttore di app fondato da membri dell’intelligence e dell’esercito. I suoi titoli più venduti sono Phone Case DIY, Miraculous Ladybug & Cat Noir e Sculpt People. Nir Erez, proveniente dal Mamram, il centro informatico specializzato dell’IDF che forma “guerrieri informatici” e gestisce l’intranet militare per l’attuazione del genocidio, è tra i fondatori di Moovit, l’app di trasporto urbano con quasi un miliardo di utenti. Call App, l’app che scherma le chiamate per lo spam, è un altro prodotto dell’economia militare israeliana, il cui CEO, Amit On, ha passato tre anni nell’Unità 8200. Anche le famose app di navigazione e ride-hailing come Gett e la popolarissima Waze, acquisita da Google per 1,3 miliardi di dollari, sono state fondate da persone formate e provenienti dagli stessi ambienti dell’intelligence israeliana.

L’infiltrazione di queste app nelle nostre vite digitali è profonda e insidiosa. Non solo contribuiscono a finanziare un regime di occupazione e violenza, ma sollevano anche serie questioni sulla privacy. Lo Stato di Israele si serve infatti enormemente della tecnologia, tra intelligenza artificiale, dati biometrici, big data e altro, per attuare i suoi scopi di dominio. Secondo l’autore dell’inchiesta, questa dovrebbe costituire una nuova e cruciale frontiera per il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), al fine di negare supporto a un’economia che dipende dalla militarizzazione e dall’applicazione tecnologica alla sofferenza palestinese.

Al momento, infatti, le app tradizionalmente utilizzate per comprendere quali prodotti ed aziende evitare per non sostenere Israele e il genocidio palestinese vengono scaricate da Google e ricevono finanziamenti attraverso le pubblicità sulla stessa piattaforma – nonostante Google sia tra le aziende da boicottare proprio per il suo sostegno a Israele. Una morsa di non facile soluzione, insomma, ma che non dovrebbe precludere all’azione.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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