Cortei, barricate, scontri. La situazione in Serbia è tornata incandescente, con il rilancio della mobilitazione guidata dagli studenti contro corruzione e malaffare. Nel fine settimana, a Belgrado, più di centomila persone sono scese in strada per chiedere le dimissioni del governo ed elezioni anticipate. Richieste che il presidente Aleksandar Vucic ha prontamente rigettato, rispondendo a colpi di repressione. Gli studenti hanno denunciato un clima di «brutalità poliziesca eseguita per conto dell’autocrate Vucic», fatto di cariche, manganellate e inseguimenti. All’alba di domenica si contavano almeno 8 manifestanti feriti e 10 arresti. A ciò si aggiungono i fermi di questa mattina, quando la polizia ha rimosso le barricate precedentemente installate dai manifestanti nella capitale e in decine di altre città serbe.
Le ultime 48 ore restituiscono l’immagine di una Serbia in fermento, come si era vista nel marzo scorso, quando trecentomila persone hanno sfilato in piazza contro il governo e il presidente Vucic. Si tratta di segni di continuità rispetto alla rabbia sociale esplosa a fine 2024, quando il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad ha provocato sedici morti e oltre trenta feriti. La notizia che inchiodava i precedenti lavori di restauro come irregolari e affidati dal governo a una ditta cinese senza i dovuti passaggi è stata benzina sul fuoco: il popolo serbo, guidato dagli universitari, si è presto organizzato contro clientelismo e corruzione, mettendo nel mirino la gestione del potere da parte di Vucic. Nel corso dei mesi le diverse richieste degli studenti — come la pubblicazione dei documenti sui lavori a Novi Sad o l’aumento del 20% del budget per l’istruzione universitaria — si sono ridotte a una, complice il muro istituzionale eretto da Vucic: elezioni presidenziali e parlamentari anticipate. I serbi lo hanno ricordato anche sabato scorso a Belgrado, quando si sono riuniti a piazza Slavija con cartelli contro il Partito Progressista Serbo (SNS) guidato da Vucic, striscioni col logo del movimento studentesco e bandiere e simboli nazionali. Il simbolismo è insito anche nella scelta della data: il 28 giugno, infatti, si celebra il martirio di San Vito e l’anniversario della battaglia di Kosovo polje del 1389, fonte del sentimento nazionalistico serbo.
La manifestazione si è formalmente conclusa poco dopo il tramonto, ma molti dei presenti sono rimasti in strada tra piazza Slavija e le vie adiacenti, dove la polizia in assetto antisommossa ha caricato e inseguito diversi gruppi di manifestanti. Contestualmente si sono registrati scontri con altri gruppi: da un lato lancio di pietre e bottiglie, dall’altro lacrimogeni e manganelli, cui hanno fatto seguito diversi arresti. Altri studenti erano stati fermati in precedenza con l’accusa di aver pianificato un cambio violento dell’ordine costituzionale. In risposta alla repressione, i manifestanti hanno bloccato nella notte diversi punti strategici di Belgrado e di altre città serbe con cassonetti, recinzioni e tende. Questa mattina la polizia ha rimosso le barricate, arrestando altre persone presenti. Gli studenti rilanciano, invitando la popolazione a una nuova serata di mobilitazione.
Nel tentativo di calmare gli animi dopo la manifestazione oceanica di inizio marzo, Vucic ha nominato un nuovo esecutivo accogliendo le dimissioni del precedente, anch’esso finito sotto la lente di studenti e lavoratori. La carta giocata dal presidente serbo non ha tuttavia portato i frutti sperati, complice il muro eretto nei confronti delle rivendicazioni dei manifestanti, bollati a più riprese come criminali, terroristi e agenti pagati dall’estero. Sono continuate nel frattempo le minacce di arresti e ritorsioni, come la privatizzazione delle università pubbliche. Gli studenti, dalle università occupate, non sono arretrati, lanciando una nuova fase della mobilitazione con l’obiettivo di ottenere le dimissioni del nuovo governo ed elezioni anticipate, sia parlamentari sia presidenziali, ad oggi previste per il 2027.