sabato 28 Giugno 2025

Guardare ai classici per rifondare la scuola e l’Italia: la lezione di Dionigi

Ivano Dionigi, uno dei più noti latinisti italiani e già rettore dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, ha pubblicato per Laterza un pamphlet dal titolo evocativo, Magister. La scuola la fanno i maestri non i ministri. Nelle premesse del saggio l’Autore tiene a precisare che non ha nessuna intenzione di entrare a gamba tesa in merito alle ennesime polemiche sulle riforme  della scuola. Dalla sua forma mentis di studioso dei testi classici, Dionigi intende «fare un elogio della scuola, a partire dal significato originario di scholé; elevare un’ode civile all’educazione, paidé ai, come la chiamavano i classici» (pag. 9). Partendo da questo assunto e premettendo che in questo preciso contesto storico la famiglia e la Chiesa hanno perso la prerogativa dell’educazione, la scuola ha l’onere di essere l’istituzione che deve perseguire lo scopo di formare il cittadino dal punto di vista etico e il luogo in cui gli studenti si identificano per la prima volta come una comunità di uguali, senza nessuna barriera sociale, economica e culturale.

Sulla scorta di Nietzsche e di Montaigne, la scuola deve perseguire l’obiettivo di formare dei cittadini pensanti, contraddistinti da una personalità non gregaria e non ridursi a creare dei futuri dipendenti di società che operano nei mercati commerciali e finanziari. Per fare ciò la scuola si deve fondare su tre parole-principi: interrogare, intelligere, invenire, che secondo Dionigi «devono essere scritte all’ingresso delle nostre scuole, università e istituzioni formative» (pag. 54). L’interrogare non è altro che l’attività che faceva Socrate nel domandare al proprio interlocutore «Tu chi sei?» e che confluiva nella massima del “conosci te stesso”, ovvero far elevare l’uomo come individuo alla sua massima espansione intellettuale

L’intelligere sta nel saper leggere e contestualizzare fatti e accadimenti contingenti, il che comporta una cognizione approfondita ad ampio raggio, quindi una conoscenza non specialistica che è solamente sterile e fine a se stessa. Infatti, se si guarda fin dai tempi dell’antichità la poesia, il pensiero scientifico e quello umanistico erano tutt’uno e lo stesso Cicerone nel De oratore sosteneva che l’unità del sapere era fondamentale per chiunque avesse l’ambizione di guidare la propria patria. La stessa separazione delle discipline, scrive Dionigi, ha avuto il demerito di creare discipline come l’economia e le materie tecniche che esistono solamente per creare un’utile materiale fine a se stesso, ma che non riescono a soddisfare la domanda sul perché del loro scopo. A chi è demandata la parte di porsi delle domande e stabilire l’eticità del progresso sono le materie umanistiche, discipline da cui non si può prescindere per il bene comune dell’intera società.
L’ultimo termine utilizzato da Dionigi è invenire, che nell’etimologia latina ha un doppio significato: in una prima accezione vuol dire «scoprire»e in una seconda «riscoprire di nuovo». Attribuire al termine il primo significato, il secondo o entrambi i significati, vi si racchiude comunque l’antica lezione che ha fornito i testi classici alla civiltà, ma che di fatto sono stati letteralmente cancellati dal presente codice culturale italiano. La causa, secondo l’Autore, è da imputare a una sorta di cattiva interpretazione di carattere storico e politico che è stata alla base del pregiudizio riguardo i classici, ritenuti testi ad uso esclusivo di una classe sociale elitaria e non popolare, che andava a discapito delle classi sociali basse.

A questo fraintendimento ha dato il suo contributo fondamentale l’appropriazione superficiale e qualunquista che ne fece il fascismo «che cercò ossessivamente di attualizzare la cultura e la civiltà latina in tutti i campi del sapere, dell’architettura alla lingua, fino a individuare nei maggiori poeti di Roma i cantori profetici del Ventennio fascista […]» (pp. 90-91).A questo retaggio, il successivo dibattito parlamentare, avvenuto tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta, in merito alla discussione dell’abolizione dell’insegnamento del latino nella scuola dell’obbligo in cui le compagini di sinistra vedevano il latino come una lingua passatista e di destra. A questo, aggiunge Dionigi, andando contro anche la sua stessa corporazione, ha dato adito l’insegnamento di alcuni docenti classicisti i quali  hanno fondato l’insegnamento della loro disciplina concentrandosi, in maniera esasperata, sulla struttura grammaticale e nella ricerca filologica, lasciando da una parte il messaggio intellettuale del testo. Il risultato della somma di questi fattori è stato quello che nell’opinione pubblica italiana si è diffusa la malsana idea che il latino e tutta la cultura classica non servono a nulla per le attività quotidiane della vita a differenza delle discipline scientifiche, mettendo in contrapposizione i due distinti saperi.

Oltre a quanto asserisce giustamente Dionigi, tale stereotipo ha causato un vistoso  abbassamento del livello culturale degli italiani, come ha dimostrato il rapporto Censis del 2024 intitolato Sindrome italiana, in cui viene evidenziato che è in corso una vera e propria emergenza educazionale. Nel rapporto si attesta che il 43,55 % degli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori non raggiunge gli obiettivi minimi di apprendimento dell’italiano. Inoltre,  per quanto concerne la conoscenza di eventi e personaggi storici, il rapporto da risultati dal sapore tragicomico. A livello esemplificativo si possono citare i seguenti casi: il 49,7% degli intervistati non sa indicare quando è avvenuta la Rivoluzione francese, oppure il 35,9% crede che Giuseppe Verdi sia stato il compositore dell’inno di Mameli. Questo rapporto mostra che il singolo individuo non ha gli strumenti intellettuali per decodificare le notizie vere da quelle false e quando queste ultime vengono appositamente fabbricate possono produrre il risultato di creare stereotipi e comportamenti irrazionali, andando a danneggiare tutta la comunità.

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Lorenzo Bravi

Laureato in Lettere e Storia. Convinto sostenitore che la cultura, in tutte le sue forme, sia un fondamentale strumento di riflessione per capire il presente. Per L'Indipendente si occupa di recensire libri e saggi di cui, a volte, si sente di consigliare la lettura

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1 commento

  1. Bello. Forse non tutta la sinistra degli anni Sessanta (almeno quella extraparlamentare) si lanciò contro il latino, Pasolini lo difese e credo anche Calvino seppur in forma meno intensa. Sarebbe interessante qualcosa sui legami tra la difesa del latino e le pratiche di insegnamento libertarie, come possibile intersezione tra classicismo e lotta.

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