Il governo del Burkina Faso ha completato ufficialmente il trasferimento di cinque beni legati all’estrazione dell’oro alla società mineraria statale, consolidando così il processo di controllo nazionale sulle risorse naturali avviato nell’agosto scorso. Nell’ambito di questa riforma, il Paese ha rivisto il proprio codice minerario e istituito la Société de Participation Minière du Burkina (SOPAMIB), ente statale incaricato di detenere, gestire e sviluppare risorse minerarie strategiche. I cinque beni trasferiti comprendono due miniere d’oro operative e tre licenze di esplorazione, precedentemente in mano a sussidiarie della compagnia britannica Endeavour Mining e della società Lilium. «Questa acquisizione è in linea con la politica dello Stato di proprietà sovrana delle risorse minerarie per ottimizzarne lo sfruttamento a beneficio della popolazione», si legge nel testo del decreto emanato mercoledì.
Il Burkina Faso è il quarto produttore di oro dell’Africa, con una produzione di oltre 57 tonnellate di oro nel 2023: considerato che il metallo giallo è il principale prodotto di esportazione del Burkina Faso, nazionalizzare le miniere significa dirottare i profitti a beneficio dello sviluppo nazionale piuttosto che di aziende straniere. Specialmente in questo periodo, si prevede che le nazionalizzazioni porteranno introiti ancora maggiori alle casse statali, in quanto il prezzo dell’oro è aumentato del 27%. Nel Paese africano la produzione di oro ha registrato un incremento del 74% dal 2016 al 2021, benché la crescente insicurezza e le tensioni geopolitiche abbiano rallentato l’estrazione del minerale prezioso negli ultimi anni.
Secondo i dati governativi, la produzione di oro nei primi nove mesi del 2023 fino a settembre è diminuita del 4% rispetto all’anno precedente, attestandosi a 41,9 tonnellate. Questo dopo che la produzione di uno dei maggiori produttori africani era diminuita del 13%, attestandosi a 58,2 tonnellate nel 2022. Il che ha indotto il capo della giunta Burkinabé a sostituire il precedente ministro delle miniere e dell’energia, Simon-Pierre Boussim, con Yacouba Zabre Gouba. Lo stesso Boussim, però, prima di essere rimosso, aveva dichiarato che i ricavi dell’esportazione dell’oro erano stimati in aumento a 2099,1 miliardi di Cfa (3,5 miliardi di dollari) nel 2022, rappresentando il 73,86% dei ricavi delle esportazioni e consolidando la sua posizione di primo prodotto di esportazione del Paese dal 2009. La rivista Africa riporta che secondo i dati del ministero dell’energia e delle miniere, le entrate dirette al bilancio statale sono passate da 430,916 miliardi di franchi Cfa (718 milioni di dollari) nel 2021 a 540,984 miliardi di franchi Cfa (902 milioni di dollari) nel 2022, con un aumento di 110,068 miliardi di franchi Cfa (183 milioni di dollari) in termini assoluti. Si comprende, dunque, come la nazionalizzazione del settore possa incrementare lo sviluppo nazionale a scapito delle multinazionali straniere. Non a caso, le riforme hanno allarmato gli investitori occidentali, tra cui anche la canadese Iamgold, Nordgold e Australia’s West African Resources Ltd.
Il programma di nazionalizzazioni è uno dei pilastri della giunta militare del Paese africano guidato dal capitano Ibrahim Traorè, che ha preso il potere con il colpo di Stato del 30 settembre 2022 rovesciando il precedente governo filoccidentale. Traorè già nei mesi scorsi aveva esternato la volontà di prendere il controllo dell’economia nazionale sfruttando la conoscenza locale: «Sappiamo come estrarre il nostro oro e non capisco perché dovremmo permettere alle multinazionali di venire a estrarlo» aveva detto. In occasione dell’inaugurazione della prima raffineria d’oro nazionale del Paese, alla fine del 2023, il capo della giunta aveva spiegato che «È una questione di sovranità, prima di tutto. Siamo un Paese produttore di oro, ma non abbiamo alcun controllo sull’oro che produciamo. Non porteremo più il nostro oro all’estero per la raffinazione». In tale contesto, nel 2024 il codice minerario del Burkina Faso è stato modificato per garantire che lo Stato abbia una quota maggiore nei progetti minerari, raggiungendo il 15% dell’azionariato.
Le nazionalizzazioni delle miniere si inseriscono in un più ampio contesto di decolonizzazione che sta interessando molti Paesi dell’Africa Subsahariana e di cui Traorè è uno degli esponenti politici più importanti. Con l’intenzione di riacquisire la sovranità politica, economica e militare contro gli interessi degli ex Paesi colonizzatori occidentali, dal 2020 in avanti si sono susseguiti diversi colpi di Stato in molte nazioni del Sahel, tra cui Burkina Faso, Mali e Niger. In ciascuno di questi Stati, i governi filoccidentali sono stati sostituiti da giunte militari ostili alle ingerenze politiche europee – e in particolare francesi – e americane nell’area, e nel febbraio del 2023, la giunta burkinabè ha espulso dal suo territorio le truppe francesi. Con la nazionalizzazione delle miniere, oltre alla sovranità politica e militare, il Burkina Faso sta riconquistando anche la sua sovranità economica, a lungo annientata dalle politiche liberiste del Fondo monetario internazionale (FMI) e dai poteri finanziari occidentali, contro i quali aveva lottato coraggiosamente l’eroe africano Thomas Sankara, simbolo dell’antimperialismo.