Il Cairo, Egitto – Militari che fermano stranieri per strada, poliziotti che entrano negli alberghi e schedano i possibili attivisti filopalestinesi; agenti in borghese che li seguono, posti di blocco e fermi nei confronti di chi ha tentato di spostarsi dal Cairo verso il Sinai. Ora sembra essere in corso la deportazione di alcuni cittadini irlandesi fermati a Ismailia, la città dove oggi alcune delegazioni della Global March si erano date appuntamento per cercare di proseguire la marcia, nonostante sia evidente la volontà delle autorità del Cairo di impedirlo.
La repressione contro la Global March to Gaza e la carovana Sumud prosegue. Da due giorni le autorità egiziane si sono mobilitate per impedire l’ingresso nel Paese a centinaia di attivisti, espellendo decine di persone. Oggi, però, la repressione si manifesta apertamente per le strade della città. In numerosi alberghi che ospitano delegazioni solidali giunte da tutto il mondo per unirsi alla marcia, che avrebbe dovuto partire oggi per Al-Arish e proseguire a piedi fino al valico di Rafah, la polizia egiziana ha bussato alle porte chiedendo i documenti. Chi si è dichiarato membro della Global March to Gaza è stato portato via. Anche per strada, gruppi di militari fermavano e identificavano stranieri che potevano sembrare appartenenti al movimento globale, impegnato a raggiungere Rafah per chiederne la riapertura.
Per questo molte delegazioni hanno deciso di darsi appuntamento a Ismailia, a un’ora e mezza dal Cairo, per tentare da lì di fare pressione e ottenere il via libera per proseguire il cammino verso Al-Arish e il valico di Rafah. Ma le cose sono andate diversamente.
I militari hanno istituito tre posti di blocco e hanno fermato centinaia di attivisti lungo la strada; i loro passaporti sono stati sequestrati e, al momento, molti dei partecipanti stanno aspettando la restituzione dei documenti e il permesso di proseguire il viaggio. Al primo check-point, a un’ora dal Cairo, è presente anche il nipote di Nelson Mandela, che, tra i cori delle decine di persone che lo circondano, descrive la situazione di stallo.
Alcune persone — tra le quali secondo voci non verificabili ci sarebbe anche un parlamentare irlandese — sono state detenute mentre si trovavano a Ismailia e fatte salire su un autobus, probabilmente diretto all’aeroporto. Sono stati loro sequestrati i passaporti e quasi tutti i telefoni cellulari, ma sono comunque riusciti a diffondere un video in cui raccontano quanto sta accadendo, ribadendo con il pugno alzato: «Free Palestine».
Nel frattempo, al Cairo sono rimaste numerose delegazioni internazionali. Molte centinaia di persone hanno scelto di restare nella capitale per cercare di comprendere meglio la situazione, continuando a sperare in un via libera da parte del governo egiziano, che con ogni probabilità non arriverà mai.
Come decideranno di muoversi lo si comprenderà nei prossimi giorni. Forse facendo pressione per le strade del Cairo, sotto le sedi delle istituzioni internazionali e delle ambasciate. Forse anche loro tenteranno di avvicinarsi al Sinai e alla frontiera con Gaza, nel tentativo che migliaia di persone possano ottenere quel lasciapassare che da mesi chiedono alle autorità egiziane.
L’Egitto, da parte sua, sembra proseguire nella sua politica ambigua, cercando di tenere un piede in due scarpe. Da un lato condanna Israele per le sue azioni, come ha fatto oggi in risposta all’attacco di Tel Aviv contro l’Iran. Dall’altro, di fatto, si comporta come un alleato di Israele, con cui non intende entrare in conflitto. Bloccare la marcia e il convoglio proveniente dal Nord Africa serve gli interessi di Israele, non quelli dell’Egitto. E questo è evidente a chiunque.
In questo anno e mezzo di massacri a Gaza, Al Sisi ha cercato di accontentare tutti: Israele, gli Stati Uniti, ma anche i suoi concittadini, apertamente favorevoli alla causa palestinese e contrari a essere complici di una nuova Nakba, l’esilio forzato dei palestinesi dalla propria terra, come auspicato da Netanyahu e Trump. Una Nakba che l’Egitto avrebbe dovuto accogliere e, quindi, legittimare. Il regime, indebolito da una profonda crisi economica e finanziaria, da anni ricorre a una violenta repressione per silenziare oppositori politici e movimenti sociali che chiedono maggiore libertà e diritti. La repressione contro la marcia per Gaza è solo l’ennesima conferma della complicità di Al Sisi con ciò che sta accadendo nella Striscia.
Il convoglio Sumud, composto da oltre mille persone partite dalla Tunisia e dall’Algeria, è stato bloccato nei pressi della città libica di Sirte. Le autorità non hanno concesso il permesso al passaggio, forse per evitare tensioni con i vicini egiziani, che certamente non desiderano un’altra marcia verso Rafah. Per ora le persone sono accampate lungo la strada, in attesa che la situazione si sblocchi. Così come restiamo in attesa al Cairo.