Lunedì sera, in prima serata su Rai 1, Roberto Benigni è tornato in scena, officiando una liturgia laica in nome dell’Unione Europea e della crociata sedicente progressista contro l’Europa degli Stati. A Cinque Minuti, ospite di Bruno Vespa, l’attore e regista toscano ha indossato i panni del cantore ufficiale della divinità-UE, sventolando le meraviglie della Bibbia del culto: il Manifesto di Ventotene. Da vero giullare dell’oligarchia, che si presenta come un “europeista estremista”, ha promosso il suo libro Il sogno (Einaudi) e lo spettacolo omonimo incentrato sul dogma, trasformando il salotto televisivo in un pulpito da cui declamare il suo verbo di Bruxelles, tra iperboli, omissioni, fake news e slogan degni di un manifesto elettorale. Non si è trattato di un’intervista, ma di un monologo propagandistico confezionato da un servizio pubblico che dovrebbe, almeno in teoria, garantire pluralismo e informazione, non veicolare un pensiero unico patinato, che trasuda menzogne e falsifica la realtà.
L’artista toscano ha parlato dell’Unione Europea come di un’utopia realizzata. L’ha definita «la più grande costruzione democratica degli ultimi 2000 anni». Un’affermazione che sarebbe comica, se non fosse tragicamente fuorviante. Nessun accenno alle crepe profonde che attraversano questo progetto: il deficit democratico, le menzogne sull’euro (citofonare Prodi: «Con l’euro lavoreremo un giorno in meno e guadagneremo come se lavorassimo un giorno in più»), le politiche di austerità che hanno devastato Paesi come la Grecia, la gestione fallimentare di crisi migratorie e sanitarie (dalla pandemia al caso Pfizergate), la gestione opaca di dossier strategici, la Brexit come clamoroso atto d’accusa da parte di uno Stato membro, la censura e la criminalizzazione delle voci divergenti. E, ancora, la folle corsa dei “volenterosi” verso il riarmo, lungo il crinale di un conflitto globale e, infine, l’annullamento del voto democratico in Romania.
Invece di raccontare l’Europa reale, Benigni preferisce esaltare l’Europa ideale, improvvisandosi persino statista quando propone di «Togliere il veto e l’unanimità dal Consiglio europeo». Abbracciando così una narrazione poetica, teatrale, che maschera la propaganda sotto il velo della retorica emozionale e del registro manicheo. Come un moderno giullare di corte, incanta il pubblico con versi e aforismi, con il consueto istrionismo che lo contraddistingue, ma senza fornire una lettura critica, pluralista, complessa. Semmai, fa il contrario: banalizza, livella, uniforma, scardina la realtà per sostituirla con una favola. Il risultato è una messinscena: l’UE come baluardo di pace, simbolo di progresso, ultimo rifugio della civiltà. Peccato che questa Europa sia anche quella che ha sostenuto la guerra per procura in Ucraina, che è rimasta impotente di fronte ai massacri nella ex Jugoslavia, che nel 1999 ha bombardato Belgrado, che si mostra subalterna a strategie geopolitiche atlantiche, che rifiuta di definire genocidio quello in atto a Gaza, che sabota i negoziati e ricerca il conflitto con la Russia.
Bruno Vespa, come spesso accade, più che intervistatore ha fatto da spalla, ponendosi come megafono dell’establishment. Nessuna domanda degna di un giornalista, nessuna obiezione alle semplificazioni e alle menzogne propinate da Benigni. Nulla sull’austerità, nulla sulla centralizzazione tecnocratica del potere in Commissione UE, nulla sul dissenso crescente tra i popoli europei, nulla sull’euroscetticismo che cresce anche dentro i palazzi, nulla sull’estasi guerrafondaia che spinge al riarmo e che agita lo spauracchio della minaccia russa per smantellare lo Stato sociale in favore del riarmo. Una passerella ben curata, fatta per veicolare un messaggio: l’Europa è buona, bella, giusta; chi la critica, è un pericolo. E il pericolo per eccellenza è il “sovranismo”. Secondo Benigni, infatti, «il nazionalismo ha provocato milioni di morti, è il carburante di tutte le guerre». Frase a effetto, certo. Ma anche storicamente scorretta. Le guerre coloniali, quelle ideologiche del XX secolo, la guerra fredda, gli scontri economici globali, le guerre “preventive” per esportare la democrazia: davvero tutto si riduce al nazionalismo?
Benigni celebra poi il Manifesto di Ventotene come se fosse la Bibbia laica dell’integrazione europea. Ne esalta gli autori come «eroi», ma dimentica passaggi equivoci e ignora che le idee socialiste e federaliste contenute in quel documento sono state tradite da un’UE che ha imboccato una strada tecnocratica, neoliberista, antidemocratica, liberticida e neofeudale. Non c’è traccia nel suo discorso della frattura tra il sogno e la realtà, tra il progetto originario e la deriva attuale. Anzi: Benigni sposa con entusiasmo le proposte più controverse, come l’abolizione del diritto di veto degli Stati membri, in perfetta sintonia con le spinte federaliste più autoritarie.
Che un artista faccia propaganda, è una sua scelta. Ma che il servizio pubblico nazionale offra un palcoscenico a un comico che si improvvisa ideologo, per trasmettere messaggi confezionati su misura per Bruxelles, è un abuso del mezzo pubblico. Roberto Benigni è il testimonial della nuova ortodossia europeista e si è trasformato in quello che Pier Paolo Pasolini avrebbe definito un «intellettuale organico al potere». E quando la satira si mette al servizio dell’ideologia dominante, non è più satira. È semplicemente propaganda.
Applausi, Enrica.
Benigni e Vespa più che europeisti sono filo-atlantisti. Come d’altronde tutto l’ entourage italiano dalla fine della II guerra mondiale ad oggi.