La Procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio di Michele Reina, l’ex segretario provinciale della Democrazia Cristiana ucciso a Palermo il 9 marzo 1979. A 46 anni da quel delitto eccellente, considerato uno dei primi nella lunga stagione degli omicidi “politico-mafiosi” in Sicilia, la DDA Palermitana ha infatti disposto una nuova attività istruttoria, delegando alla Direzione Investigativa Antimafia l’acquisizione di video e fotografie del luogo dell’agguato. La riapertura dell’inchiesta, a 36 anni dall’ultima chiusura, avviene in parallelo a quella sull’omicidio di Piersanti Mattarella, le cui indagini hanno ripreso impulso dallo scorso gennaio, mirando a verificare – attraverso tecnologie più avanzate – l’ipotesi di un “filo unico” che collegherebbe i delitti Reina, Mattarella e La Torre.
La sera del 9 marzo 1979 Michele Reina, 47 anni, saliva sulla sua Alfetta 2000 insieme alla moglie Marina e a una coppia di amici quando, in via Principe di Paternò, fu raggiunto da un commando a bordo di una Fiat Ritmo rubata. Dopo essere scesi dall’auto, due giovani killer a volto scoperto gli spararono tre colpi di calibro 38. Il politico morì sul colpo, i membri del commando riuscirono a scappare. Il delitto venne rivendicato quella stessa notte con due telefonate anonime: la prima al Giornale di Sicilia da parte di un sedicente militante di “Prima Linea”, la seconda al quotidiano L’Ora da chi diceva di agire in nome delle Brigate Rosse. Entrambe le rivendicazioni furono però successivamente smentite dagli stessi gruppi chiamati in causa. La svolta nelle indagini arrivò nel 1984, quando il superpentito Tommaso Buscetta indicò nel capo di Cosa Nostra Totò Riina il mandante dell’omicidio Reina. Nel 1999 la Cassazione confermò le condanne all’ergastolo per i componenti della Commissione di Cosa Nostra: Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci. Gli esecutori materiali, però, non sono mai stati identificati.
Il magistrato Giovanni Falcone, che morirà nella strage di Capaci il 23 maggio 1992, già tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta aveva dichiarato dinanzi alla Commissione Antimafia di credere all’esistenza di un filo unico che avrebbe collegato gli omicidi di Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre (politico e sindacalista italiano, dirigente del Partito Comunista, ucciso il 30 aprile 1982 a Palermo), inserendo i tre delitti in una trama comune in cui convergevano interessi mafiosi ed eversione nera. Un progetto che avrebbe avuto la primaria finalità di bloccare il rinnovamento politico in Sicilia. Esattamente come Piersanti Mattarella, l’ex segretario della DC Reina era stato tra i principali sostenitori dell’apertura del partito democristiano alla sinistra, in nome di quel “compromesso storico” cui, negli anni precedenti, avevano lavorato il presidente della DC Aldo Moro e il segretario del PCI Enrico Berlinguer. Negli anni successivi all’omicidio, la vedova di Michele Reina, Marina Pipitone, affermò di avere rilevato una «fortissima somiglianza» tra il killer del marito nel terrorista nero Valerio Fioravanti. Lo stesso fece Irma Chiazzese, vedova di Piersanti Mattarella, che disse di aver riconosciuto in Fioravanti l’uomo «dagli occhi di ghiaccio» che aveva freddato il marito. Nonostante ciò, la magistratura non è mai riuscita a confermare tale coinvolgimento, archiviando questa pista.
A gennaio, la Procura di Palermo ha riaperto le indagini sull’omicidio Mattarella, a quanto pare svincolandosi dalla linea tracciata da Falcone. Per il delitto, infatti, risultano ora indagati come possibili autori materiali due sicari di Cosa Nostra, Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese. L’inchiesta è però nel suo pieno svolgimento: nei giorni scorsi sono stati notificati gli avvisi per un accertamento tecnico irripetibile nell’ambito della nuova inchiesta. Proprio oggi sarà conferito l’incarico ai periti per una comparazione biologica su una vecchia impronta rinvenuta sull’auto utilizzata dai killer per la fuga dopo l’omicidio, da cui si vuole estrarre il dna grazie alle nuove tecnologie disponibili. Anche con la riapertura dell’inchiesta su Reina, la Procura mira a riesaminare prove e testimonianze alla luce delle nuove tecnologie e delle nuove conoscenze investigative. Come per il caso Mattarella, si procederà con accertamenti tecnici avanzati, tra cui l’analisi di reperti d’epoca alla ricerca di eventuali profili genetici utili.