La Gaza Humanitarian Foundation nella giornata di oggi ha sospeso la distribuzione di beni di prima necessità nella striscia di Gaza dopo gli attacchi delle Forze di Difesa israeliane, che negli ultimi giorni hanno portato alla morte di più di cento civili palestinesi e altre centinaia di feriti. Attraverso un comunicato, la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), organizzazione privata statunitense finanziata da USA e Israele, ha annunciato la sospensione e la chiusura dei punti di distribuzione di cibo nel sud della Striscia di Gaza, con la motivazione di «lavori di aggiornamento, organizzazione e miglioramento dell’efficienza». Le stesse IDF, dopo la diffusione della notizia di diverse sparatorie a danno dei civili palestinesi in fila per ricevere i beni di sussistenza, hanno confermato sul rispettivo profilo X la propria responsabilità dietro gli attacchi, affermando di aver sparato «un fuoco di avvertimento» contro «diversi sospetti che si dirigevano verso di loro [le IDF, ndr.], deviando dai percorsi designati» per poi sparare nuovamente altri colpi «nei pressi di singoli sospetti che avanzavano verso le truppe».
Dinanzi all’indignazione mediatica scaturita dall’attacco indiscriminato verso civili inermi, accalcati lungo le barriere in attesa di accedere alla consegna del cibo, la Gaza Humanitarian Foundation ha deciso di fare marcia indietro e «riorganizzare» la missione umanitaria. Questa situazione mette in luce la totale incompetenza dell’organizzazione statunitense e avvalora le accuse mosse dalle Nazioni Unite e dai rispettivi enti umanitari, già da decenni attivi a Gaza e da mesi impossibilitati a entrare nei territori della Striscia dal governo di Israele.
Difatti, come più volte è stato denunciato dalle varie organizzazioni attive nei territori palestinesi e dall’Ufficio di coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite (OCHA), l’operazione che permette la distribuzione di cibo è gravemente insufficiente, specialmente tenendo in considerazione l’inesorabile carestia che sta colpendo la popolazione gazawi, che ha visto la distruzione della quasi totalità dei campi coltivabili nella Striscia. A questo si aggiungono le centinaia di camion attivati dal Programma Alimentare Mondiale dell’ONU fermi alla frontiera di Kerem Shalom, oltre che le altre migliaia di progetti di distribuzione alimentare bloccati lungo il confine meridionale della Striscia.
Parallelamente, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha annunciato di voler avviare un’indagine per valutare se l’ostacolo messo in atto dalle forze militari israeliane nella distribuzione degli aiuti umanitari possa costituire un’ulteriore «crimine di guerra» e ha definito come «inconcepibili» gli attacchi perpetrati dalle IDF contro i civili in coda per ottenere cibo. A questo si aggiunge la totale opacità dietro all’operazione attivata dalla Gaza Humanitarian Foundation, fondata prima in Delaware e poi in Svizzera (entrambi luoghi caratterizzati da alta permissività fiscale e anonimato), che ha previsto fin da subito la collaborazione con le stesse IDF, deputate a “salvaguardare” gli aiuti da presunti interessi di Hamas. Non sembra essere un caso, però, che i pochi punti di distribuzione aperti dalla GHF siano stati tutti istituiti nella zona meridionale della Striscia, fatto che alimenta l’ipotesi di voler spingere per fame la popolazione gazawi verso Sud e da parte del Governo di Israele.
L’Unione Europea, che solo dopo più di cinquantamila morti, ventimila dei quali bambini, ha iniziato a condannare timidamente le azioni di Israele, resta in silenzio dinanzi alle ultime, ennesime, azioni efferate compiute dalle forze militari israeliane ai danni di civili palestinesi. Mentre alcuni governi lentamente affermano di voler alzare la voce contro le azioni ordite dal criminale di guerra Benjamin Netanyahu, continuando però di fatto a tessere relazioni commerciali con Israele, la popolazione della Striscia continua ad essere umiliata, annichilita e sterminata. Non resta che chiedersi quanti palestinesi avranno la possibilità di vedere con i propri occhi un intervento concreto delle istituzioni europee.
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