L’aumento della spesa militare dei Paesi NATO potrebbe generare centinaia di milioni di tonnellate annue di gas serra, rischiando di impedire il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 13 delle Nazioni Unite, dedicato alla lotta contro il cambiamento climatico. A dirlo è un rapporto dell’Osservatorio sui Conflitti e l’Ambiente (CEOBS), scritto su richiesta dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari del Disarmo. Il CEOBS sottolinea che l’aumento della spesa militare aumenterà le emissioni militari sia sul fronte della produzione che su quello del mantenimento e dell’uso dei sistemi d’arma: acciaio, alluminio e combustibili fossili per operazioni militari rendono infatti quello bellico uno dei settori più inquinanti al mondo. Tra i principali Paesi che potrebbero contribuire a questo aumento delle emissioni vi sono quelli europei, con il piano europeo ReArm. Esso prevede un aumento della spesa militare comunitaria fino a 800 miliardi di euro, e sta venendo portato avanti in parallelo a numerose iniziative volte a riconsiderare al ribasso gli obiettivi climatici comunitari, aumentando deroghe e concessioni alle grandi aziende.
Secondo lo studio del CEOBS, la produzione industriale che sta venendo promossa finirà per aggravare l’impatto ambientale dell’industria bellica sia direttamente che indirettamente. Gli aumenti diretti sarebbero effetto di tre fattori principali: le attività di addestramento ed esercitazione, i pattugliamenti di routine, e (in tempo di guerra) i conflitti armati; la costruzione delle basi militari, il loro mantenimento e i consumi a esse legati; la produzione di equipaggiamenti e gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo. Gli aumenti indiretti, invece, sono legati al reindirizzamento di risorse che potrebbero essere spese per la tutela dell’ambiente, al ripensamento al ribasso degli obiettivi e delle politiche ambientali per facilitare il comparto bellico, all’aumento di migrazioni in caso di conflitto, e alla potenziale dipendenza dal fossile che si creerebbe, essendo quello militare un comparto particolarmente energivoro. «Nonostante le difficoltà nel definire l’esatto rapporto tra spesa militare ed emissioni di gas serra militari», scrive il rapporto, i dati indicano «aumenti da decine a centinaia di milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente all’anno derivanti dagli attuali aumenti di spesa».
L’industria bellica, sottolinea il rapporto, è una delle più impattanti al mondo. Il CEOBS e Scientists for Global Responsibility stimano che l’attività militare quotidiana potrebbe essere responsabile di circa il 5,5% delle emissioni globali, il che significa che se le forze armate del mondo fossero un Paese, sarebbero il quarto maggiore emettitore al mondo. Dati questi, che non tengono conto del fatto che i Paesi non registrano tutte le emissioni legate alle proprie attività militari. L’aumento della spesa militare, sottolinea il CEOBS, avrà un impatto negativo sul raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 13 dell’ONU. Esso chiede ai Paesi di: rafforzare la capacità di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali; integrare le misure contro il cambiamento climatico nelle politiche di pianificazione nazionale e di aiutare i Paesi meno sviluppati a fare lo stesso; mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno per il contrasto al cambiamento climatico.
Tra le politiche di riarmo che più potrebbero impattare sul raggiungimento dell’Obiettivo 13, vi sono quelle europee. L’UE ha infatti pensato un piano che prevede l’investimento di una cifra fino a 800 miliardi di euro nel settore bellico. Di preciso, la Commissione Europea ha proposto agli Stati membri di aumentare la spesa per la difesa fino all’1,5% del prodotto interno lordo annuo per quattro anni. Questo debito aggiuntivo, sostiene von der Leyen, potrebbe generare fino a 650 miliardi di euro nel prossimo quadriennio. Per ora sono 16 i Paesi dell’UE che hanno inoltrato una richiesta di sospensione del Patto di Stabilità. A questa cifra si aggiunge quella che proverrebbe dal cosiddetto “fondo SAFE”, che prevede la raccolta di una somma fino a 150 miliardi di euro sui mercati da erogare sotto forma di prestiti diretti agli Stati con l’avvio di procedure d’appalto comuni e semplificate.
Parallelamente, l’UE ha promosso una serie di iniziative volte a depotenziare o rinviare le leggi per la tutela dell’ambiente, primo fra tutti il Green Deal. In queste occasioni, l’Italia figura sempre tra le prime promotrici e guida il fronte UE contro l’ambientalismo. Il nostro Paese è stato in passato l’unico a votare contro i divieti sulla pesca a strascico, riuscendo, a fine 2024, a boicottare la norma. L’Italia si è poi mossa contro la norma sulla riduzione delle emissioni industriali, riuscendo a ridurre i limiti imposti agli allevamenti intensivi; ha contribuito alla riqualificazione al ribasso dello status di tutela del lupo; si è poi schierata contro la riduzione delle emissioni del settore auto, approvata a inizio maggio 2025.
Sono sempre stato tra I sostenitori dell’Unione Europea, ma se continuano con questa storia delle spese militari ci faranno diventare tutti degli anti-Unione Europea come le destre di un pó di anni fa!
Tramite I telegiornali cercano sempre di venderci questa storia del Rearm Europe, ma dobbiamo trovare un modo pacifico ma fermo per far capire che la volontà del popolo é piuttosto sul Disarm Europe.
Ovvio che gli va bene, proibire ai Cittadini qualunque cosa perché tutto inquina, ma prendersi mazzette per le armi a un migliaia di tonnellate di emissioni per ogni Euro/mazzetta preso dai politici, l’Europa ormai è solo questo.