In un’Europa che ha voltato pagina sulla pandemia, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) torna a spingere per l’aggiornamento dei vaccini anti-Covid. La motivazione? L’emergere di una nuova variante del virus, denominata LP.8.1 che, secondo l’Emergency Task Force (ETF) dell’ente regolatorio, differisce in modo sostanziale dalla precedente famiglia JN.1, bersaglio degli ultimi vaccini aggiornati. In una nota ufficiale, l’EMA ha dichiarato che aggiornare i vaccini per colpire la nuova variante LP.8.1«contribuirà a mantenere l’efficacia dei vaccini» in linea «con la continua evoluzione del virus SARS-CoV-2».
Questa raccomandazione arriva in un momento in cui l’opinione pubblica è stanca, diffidente e – soprattutto – ampiamente disinteressata a una nuova campagna vaccinale. Se negli Stati Uniti Robert Kennedy jr. ha tolto il vaccino contro il Covid da quelli raccomandati per i bambini “in buona salute” e le donne in gravidanza, per rimettere in discussione il ruolo dominante dell’industria farmaceutica nelle politiche pubbliche di salute, in Europa si va nella direzione opposta, segnalando però un evidente controsenso: con la fine dell’emergenza Covid, gli europei hanno da tempo scelto di non vaccinarsi. Il paradosso è lampante: mentre la realtà sociale e sanitaria mostra una conclamata avversione verso ulteriori richiami vaccinali, l’apparato regolatorio europeo continua a insistere su un aggiornamento sistematico dei vaccini, con investimenti miliardari e logiche industriali che non possono che riproporre interrogativi sulle reali priorità e sui conflitti di interesse (ricordiamo il caso Pfizergate). Eppure, la crisi è ormai alle spalle, gli ospedali non sono in emergenza, le restrizioni sono un lontano ricordo e, fattore non irrilevante, inizia a cedere il muro di gomma sugli effetti avversi dei vaccini anti-Covid: parlare degli effetti collaterali non è più un tabù.
A sottolineare il divario tra istituzioni e cittadini ci sono i dati ufficiali, e il caso italiano è emblematico. Come avevamo accertato in questo articolo, tra l’agosto 2024 e il gennaio 2025, nonostante le raccomandazioni del Ministero della Salute, l’Italia ha registrato una copertura vaccinale contro il Covid ben al di sotto della media europea: ferma all’1% tra le persone over 60 e al 5,8% tra gli ultraottantenni. Ad attestarlo è il nuovo rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) che, analizzando i dati inerenti al nostro Paese, mostra numeri drammaticamente distanti dai picchi pandemici del 2021-2022 e ben al di sotto della media europea, con l’Italia che oggi evidenzia percentuali simili a quelle dell’Europa dell’Est, storicamente più scettica verso le vaccinazioni.
Il flop della quinta dose (per non parlare delle successive) e il rifiuto italiano – e in generale europeo – sono figli di svariati fattori, in primis della sfiducia accumulata negli ultimi anni. Dopo una gestione pandemica che ha visto oscillare le posizioni istituzionali, modificare le raccomandazioni in corsa, adottare misure draconiane basate sul ricatto, imporre obblighi spesso percepiti come insensati, inutili e autoritari, oggi le persone non rispondono più agli appelli alla “responsabilità collettiva”. Il senso d’urgenza è evaporato e l’opacità di molte decisioni pubbliche è diventata il carburante dello scetticismo.
Come se non bastassero i dati a parlare chiaro, negli ultimi due anni sono numerose le inchieste che hanno mostrato lo spreco ingente di vaccini a causa della sovrastima delle dosi e della scadenza degli stessi farmaci. L’UE e l’Italia hanno, infatti, acquistato dosi in eccesso rispetto al fabbisogno, anche a causa di clausole contrattuali rigide con aziende come Pfizer, che obbligavano all’acquisto di quantità prefissate (es. 450 milioni di dosi per l’UE nel 2023, di cui 61,1 milioni per l’Italia). Molte dosi sono rimaste inutilizzate a causa della diminuzione della domanda (es. il rifiuto delle vaccinazioni booster) e sono scadute. Secondo un’analisi di Politico Europe (dicembre 2023), i Paesi dell’UE hanno sprecato almeno 215 milioni di dosi di vaccino anti-Covid, per un valore stimato di circa 4 miliardi di euro per i contribuenti. Questo dato è probabilmente sottostimato, poiché alcuni Paesi, come la Francia, non hanno fornito informazioni complete. L’Italia ha acquistato oltre 380 milioni di dosi per un costo di circa 4,4 miliardi di euro, di cui una parte significativa è rimasta inutilizzata.
Da tempo, i dati raccontano che la politica sull’acquisto dei vaccini anti-Covid è stata fallimentare. Secondo La Stampa, sempre nel 2023 si stimava che l’Italia avesse sprecato circa 173 milioni di dosi, con un costo approssimativo di 3 miliardi di euro, considerando i prezzi delle dosi Pfizer (16-19 euro) e Moderna (circa 22 euro). Sempre Politico Europe indicava come l’Italia avesse scartato circa 49 milioni di dosi, equivalenti a 0,83 dosi per persona. Nonostante questa débâcle economica e organizzativa, che evidenzia una frattura crescente tra governance sanitaria e opinione pubblica, l’EMA continua a raccomandare aggiornamenti vaccinali, insinuando il dubbio legittimo sul peso che Big Pharma esercita sulle decisioni politiche e regolatorie in Europa. Non è un segreto che il settore farmaceutico abbia beneficiato in modo straordinario dalla pandemia. I finanziamenti pubblici hanno, infatti, avuto un ruolo cruciale nello sviluppo dei vaccini, ma il controllo limitato su prezzi e distribuzione ha favorito i profitti delle aziende farmaceutiche. La realtà dei numeri, la sfiducia dei cittadini e l’evidenza degli sprechi suggeriscono che sia arrivato il momento di ripensare radicalmente il rapporto tra sanità pubblica e industria farmaceutica.
Facciamo finta di lasciar perdere ricatti e altre amenità snocciolati nel Belpaese, dove sono finiti tutti quelli che “io mi vaccino per la tua sicurezza, per quella di mio trisnonno e quelli come te dovrebbero rinchiuderli”?
Era solo una moda, una fottuta paura o cos’altro???