venerdì 30 Maggio 2025

Come le banche e la finanza nutrono la guerra: intervista a Giorgio Beretta

Dietro il commercio internazionale di armamenti si nasconde il ruolo spesso sottovalutato delle banche. Molti istituti finanziari italiani continuano infatti a sostenere l’esportazione dei sistemi militari verso Paesi coinvolti in conflitti o con gravi violazioni dei diritti umani. Per fare luce su questo intreccio tra finanza e industria bellica, abbiamo intervistato Giorgio Beretta, uno dei massimi esperti del settore. Analista per l’Osservatorio OPAL di Brescia e della Campagna di pressione alle “banche armate”, Beretta analizza da anni il flusso di denaro che alimenta il mercato delle armi, pubblicando studi su diversi quotidiani e riviste nazionali.

Cosa si nasconde dietro il termine “banche armate” e quale ruolo giocano nel commercio delle armi? 

Le “banche armate” sono quegli istituti di credito che finanziano, direttamente o indirettamente, l’industria militare. Ciò può avvenire tramite prestiti alle aziende produttrici di armamenti, servizi per l’export di armi o la gestione di operazioni finanziarie connesse alla produzione militare. In generale, si tratta di banche che, in modi diversi, sostengono economicamente il settore degli armamenti.

Qual è il peso economico di questi finanziamenti per le banche? Si tratta di cifre rilevanti nei loro bilanci?

L’esposizione delle banche italiane nella produzione di armamenti e di sistemi militari è in realtà limitata se la confrontiamo con l’entità di tutte le operazioni che svolgono per finanziare altri tipi di produzioni a uso civile. Sebbene possano sicuramente guadagnare parecchio nella intermediazione per l’esportazione di armamenti, i servizi alla produzione e all’export di armi non rappresentano un settore economicamente rilevante né strategico per gli istituti di credito. L’ultima relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze che riporta i dati ufficiali riporta operazioni bancarie relative alle esportazioni di armamenti italiani per un valore totale di circa 4 miliardi di euro, una cifra alquanto limitata se consideriamo che i soli pagamenti digitali in Italia nei primi sei mesi del 2024 hanno superato i 223 miliardi di euro. Proprio per questo motivo, trattandosi di un settore non così rilevante per l’operatività degli istituti di credito, potrebbero impegnarsi per definire direttive più rigorose e trasparenti per tutto questo settore.

Ci sono legami tra banche e governi nella produzione e nella vendita di armamenti?

Ci sono e sono numerosi perché tutti i governi ritengono necessario approvvigionarsi di armamenti. In Italia l’acquisto di armi da aziende italiane o estere viene finanziato attraverso la Legge di Bilancio, dunque non ha particolare necessità di linee di credito private. Altra questione, invece, è lo sviluppo di determinati sistemi di armamento. Pensiamo al nuovo Tempest-GCAP, il cacciabombardiere supersonico di sesta generazione che l’Italia sta sviluppando insieme alla Gran Bretagna e al Giappone, oppure ai nuovi veicoli cingolati da combattimento per la fanteria Lynx KF-41, sviluppati dalla Rheinmetall insieme alla Leonardo. Per questo tipo di produzioni specifiche, che coinvolgono l’Italia e anche altri Paesi non tanto nella fase di ideazione e progettazione iniziale, ma soprattutto in quella di produzione, intervengono richieste di finanziamento anche agli istituti di credito.

L’opinione pubblica è sufficientemente consapevole del ruolo delle banche nel settore militare?

Di certo possiamo dire che, dagli anni 2000, in particolare la Campagna di pressione alle “banche armate” promossa dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia ha inteso sensibilizzare l’opinione pubblica e i correntisti su questo problema. La Campagna ha ottenuto importanti risultati, avendo indotto la maggior parte degli istituti di credito italiani a dotarsi di direttive restrittive per quanto concerne i servizi di finanziamento all’industria militare e, in particolare, i servizi per le operazioni di esportazioni di armamenti. Va segnalato che i maggiori gruppi di credito italiani – in modo particolare Unicredit e Intesa Sanpaolo proprio a seguito delle iniziative dalla Campagna hanno deciso di limitare i servizi alle esportazioni di armamenti solo ai Paesi della NATO e dell’UE. Escludendo, dunque, tutti gli altri Paesi. Eventuali operazioni assunte in deroga devono comunque essere comunicate e rese pubbliche. E questo è un fatto molto importante. 

Ci sono banche che, al contrario, hanno resistito a queste pressioni?

Alcune banche estere presenti in Italia, come Deutsche Bank, BNP Paribas, Barclays Banke Commerzbank, non hanno adottato direttive restrittive, così come diverse banche italiane di minor rilevanza. Penso, ad esempio, alla Banca Popolare di Sondrio che nell’ultimo anno, per quanto concerne le esportazioni di armamenti italiani, ha riportato operazioni per 357 milioni di euro che rappresentano quasi un decimo del valore delle operazioni svolte da tutte le banche in questo settore. C’è poi la Banca Valsabbina, che nell’ultimo anno ha riportato valori oltre i 62 milioni di euro, che negli scorsi anni ha contribuito alla produzione ed esportazione all’Arabia Saudita di circa 20mila bombe della classe MK 80, impiegate dall’aeronautica militare saudita in bombardamenti che hanno devastato centri abitati in Yemen. Per essere una piccola banca di provincia, parliamo di un ruolo non certo marginale.

Come si è mossa negli anni la politica italiana su questo tema?

Negli ultimi anni, la Relazione governativa ha subìto modifiche che ne hanno ridotto la trasparenza, in particolare nella sezione curata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Due interventi hanno sottratto informazioni cruciali. Il primo risale al 2008, quando il governo Berlusconi IV eliminò senza spiegazioni tutte le informazioni di dettaglio che permettevano di collegare le operazioni autorizzate alle banche con le aziende, le tipologie di armamenti e soprattutto i Paesi destinatari. Il secondo avvenne nel 2013, quando il MEF decise, con un’interpretazione arbitraria del Decreto legislativo n. 105/2012, di includere solo gli “Importi Segnalati” anziché quelli autorizzati, rendendo quasi impossibile correlare le transazioni bancarie con l’esportazione di armamenti. Di conseguenza, mentre fino al 2007 era possibile conoscere dettagli cruciali sulle operazioni bancarie legate all’export di armi, oggi queste informazioni non sono più accessibili. Adesso, con l’annunciata modifica che è già passata al Senato, vogliono direttamente far sparire tutto l’elenco delle banche operative nel settore dell’export militare. È il colpo finale. 

Quanto incide il fenomeno delle “porte girevoli” tra politica e industria militare? 

Il caso più evidente riguarda l’AIAD (Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza), considerata la “Confindustria” dell’industria militare. Attualmente, essa è presieduta da Giuseppe Cossiga (figlio dell’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ndr) già sottosegretario di Stato del Ministero della Difesa. L’attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel 2014 venne nominato presidente dell’AIAD e anche senior advisor di Leonardo, il tutto dopo aver ricoperto – dal 2008 al 2011 – la carica di sottosegretario alla Difesa all’interno del quarto governo Berlusconi. Lì si verificò il primo, vero, conflitto di interessi.

Chi sta spingendo per ridurre la trasparenza sulle banche attive nel commercio di armamenti? 

La volontà di cancellare l’elenco delle banche attive nel commercio di armamenti, quindi l’elenco delle cosiddette “banche armate” dalla relazione annuale della Presidenza del Consiglio, nasce dalla forte e reiterata pressione dell’AIAD. Non sono tanto le banche a chiedere di cancellare quell’elenco, perché gli istituti di credito ci tengono a differenziarsi potendo rendere noto all’opinione pubblica di avere adottato direttive restrittive. È invece soprattutto l’AIAD, che mal sopporta restrizioni e soprattutto la trasparenza in questo settore, a fare pressioni affinché lo Stato cancelli o riduca al minimo l’informazione in questo settore. E, dietro l’AIAD, c’è ovviamente Leonardo, il colosso della difesa italiana. 

Antonio De Falco

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