Dopo lunghi anni di intense battaglie legali, il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia ha condannato il ministero della Difesa a risarcire con la cifra di 600 mila euro i familiari di Rolando Cerri, luogotenente della Marina Militare stroncato a 63 anni da un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione prolungata all’amianto durante il servizio. Il sottufficiale si era alternato dal 1966 al 2004 tra basi di terra e la navigazione su unità navali di vecchia generazione. «Questo verdetto – ha affermato l’avvocato dei familiari di Cerri, Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto – riconosce non soltanto la sofferenza del maresciallo, ma anche la chiara responsabilità di chi avrebbe dovuto proteggerlo e invece non lo ha fatto». Quello di Cerri è solo uno degli innumerevoli casi, enucleati in report ufficiali, che hanno visto membri del personale militare essere colpiti da mesotelioma a causa dell’esposizione all’amianto.
I giudici, che nel verdetto hanno riconosciuto una responsabilità piena del Ministero della Difesa, hanno accertato che il maresciallo ha lavorato per lungo tempo all’interno di ambienti contaminati dall’amianto e da altri agenti cancerogeni, senza poter contare su consone misure di protezione, sorveglianza sanitaria e un’adeguata formazione. Pochi anni dopo il congedo, arrivò per Cerri la diagnosi di mesotelioma, che lo portò alla morte. Nel 2013 venne riconosciuta a Cerri la causa di servizio e lo status di “vittima del dovere”, che sfociarono in benefici penitenziari per la vedova. L’avvocato dei suoi familiari, Ezio Bonanni, ha però voluto portare il caso davanti al TAR, con l’obiettivo di ottenere giustizia piena. Il legale ha parlato di una sentenza che «costituisce un atto di giustizia e di memoria per chi ha servito il nostro Paese con onore, ma al contrario è stato poi tradito da chi avrebbe dovuto garantirne la sua sicurezza», aggiungendo che «è inaccettabile che ancora oggi si debba morire per aver servito lo Stato in ambienti contaminati e privi di tutele». Il verdetto, dice ancora Bonanni, «sancisce un principio fondamentale: chi espone i militari all’amianto deve rispondere delle conseguenze».
Quello di Rolando Cerri non è però affatto una vicenda isolata. Ad attestarlo è infatti l’ultimo rapporto ReNaM redatto dall’INAIL – in cui sono incluse analisi dettagliate su oltre 37mila casi diagnosticati dal 1993 al 2021 –, che inserisce tra i settori di attività maggiormente colpiti (il 4,8% dei casi totali) proprio quello delle forze armate. Nel 35,7% di questi casi, l’esposizione ad amianto è avvenuta esclusivamente in ambito militare, a fronte di una quota maschile praticamente totale (1.231 uomini su 1.236 casi). Nel report si legge che l’età media alla diagnosi nella categoria “difesa militare” è di 72,1 anni, con un’età di inizio esposizione sorprendentemente bassa (mediana 20 anni) e una latenza mediana di 53 anni. Ciò riflette mansioni svolte fin dalla leva, come la manutenzione meccanica di veicoli corazzati, aeromobili e navi, con frequente utilizzo di materiali contenenti amianto come isolanti termici e dispositivi di protezione individuale. Le condizioni di lavoro, spesso in spazi confinati, hanno favorito il rilascio di fibre durante le operazioni di riparazione e manutenzione, esponendo non solo meccanici e elettricisti di bordo, ma anche personale di supporto e di controllo armaiolo. Nonostante il divieto di alcune varietà di amianto dalla metà degli anni Ottanta, le fibre hanno continuato a persistere in diverse parti dei mezzi militari. E, dunque, a mietere vittime.