Alcune alghe rosse sembrano aver trovato un modo per “parlare” ai pesci che le minacciano: usano il colore. È quanto suggerisce un nuovo studio guidato da ricercatori dell’Università di Kobe, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Phycology. Effettuando immersioni subacquee e analizzando poi i campioni raccolti in laboratorio, i ricercatori hanno scoperto che alcuni tipi di alghe rosse presentano punte di crescita di tonalità blu e, nel complesso, un aspetto molto più pallido rispetto al consueto, e il tutto grazie a particolari microsfere riflettenti presenti nelle cellule ghiandolari. Si tratta delle stesse strutture che ospitano anche sostanze chimiche note per la loro azione anti-erbivora e questo, secondo gli autori, suggerisce che si tratti di una sorta di segnale visivo simile a quello che nel regno animale viene definito aposematismo, ovvero l’uso di colori di avvertimento per scoraggiare i predatori. «Un tale repellente è più efficace se abbinato a un colore di avvertimento, come la tonalità blu delle punte di crescita delle alghe», commenta Kawai Hiroshi, ficologo dell’Università di Kobe.
La colorazione delle alghe può derivare da pigmenti, come quelli fotosintetici, oppure da strutture fisiche che interagiscono con la luce: è il caso della cosiddetta colorazione strutturale, già nota in animali e piante terrestri. In alcune macroalghe, questa colorazione si forma attraverso tre meccanismi principali: strutture multilamellari, microfibrille ordinate o corpi intracellulari rifrangenti. Per quanto riguarda lo studio condotto all’Università di Kobe, invece, i ricercatori si sono concentrati su Asparagopsis taxiformis, una specie rossa che vive in acque subtidali la cui osservazione è risultata complessa a causa della fragilità dei campioni e della profondità del loro habitat. «Essendo un subacqueo, so da tempo che alcune alghe rosse hanno un aspetto molto più bianco del loro solito rosso se osservate in acqua. Inoltre, in una recente indagine subacquea, ho notato che le punte dei giovani germogli di una di queste specie sembravano avere una tonalità bluastra. Queste osservazioni mi hanno incuriosito e ho voluto chiarire il meccanismo di questi colori», ha commentato Kawai. Utilizzando immersioni subacquee e tecniche avanzate di microscopia elettronica, gli autori hanno identificato, nelle cellule ghiandolari, corpi rifrangenti contenenti microsfere di dimensioni uniformi nella zona apicale dell’alga. Si tratta di strutture – spiegano – che riflettono selettivamente la luce blu, mentre, maturando, perdono l’uniformità, riflettendo la luce in modo più diffuso e generando una tonalità bianca. A differenza della colorazione rossa tipica dei pigmenti fotosintetici, però, questi colori strutturali potrebbero avere una funzione comunicativa, segnalando la presenza di sostanze sgradevoli o mascherando l’alga nel suo ambiente.

In particolare, secondo quanto riportato, la colorazione blu delle punte in crescita potrebbe servire come segnale di avvertimento visivo nei confronti di pesci erbivori, in analogia a meccanismi noti nel regno animale. Le stesse strutture rifrangenti che generano il colore ospitano infatti sostanze bromurate ad azione deterrente, già documentate per la loro efficacia nel ridurre la pressione dei pesci erbivori. Inoltre, la colorazione biancastra delle parti più mature dell’alga – comprese le strutture riproduttive – sembrerebbe avere un effetto mimetico, mascherando la pigmentazione rossa che i predatori visivi assocerebbero a una risorsa nutriente. Fenomeni simili, inoltre, sono stati documentati anche in altre alghe come Martensia, Callophyllis e Dictyopteris, tutte appartenenti a regioni tropicali o temperate calde. La maggiore incidenza di questi meccanismi in ambienti ad alta visibilità e con una ricca presenza di pesci erbivori suggerisce una possibile evoluzione convergente, anche se i cambiamenti climatici e il riscaldamento delle acque potrebbero alterare questi equilibri, in quanto l’espansione verso nord dei pesci tropicali potrebbe rappresentare una minaccia crescente per le specie algali locali prive di simili meccanismi difensivi. «Comprendere meglio queste strategie visive potrebbe aiutarci a prevedere gli impatti della tropicalizzazione sugli ecosistemi marini», conclude il coautore Hiroshi Kawai.