giovedì 22 Maggio 2025

Per cosa si vota ai referendum dell’8 e 9 giugno: i cinque quesiti spiegati

Referendum sì, referendum no. Ma quale referendum? L’appuntamento dell’8 e 9 giugno, che chiama gli italiani a decidere in materia di lavoro e cittadinanza, sta passando in sordina, complice la linea dell’astensionismo sposata dal governo e il disinteresse di media pubblici e privati che ne parlano molto poco e praticamente mai allo scopo di rendere chiari ai cittadini i temi sui quali sono chiamati ad esprimersi. I cinque quesiti, per i quali si potrà votare domenica 8 giugno (dalle ore 7 alle 23) e lunedì 9 (dalle 7 alle 15) sono di tipo abrogativo: votando sì si sceglierà quindi di cancellare parte dei testi di legge interessati modificandone nei fatti i contenuti, mentre votando no si sceglierà di lasciare le cose come stanno. Per rendere valido l’esito referendario è necessario che si rechino alle urne metà degli aventi diritto al voto più uno. Di seguito i cinque referendum, con i dettagli per capire su cosa – effettivamente – si è chiamati a decidere.

Quesito 1 – Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi

I referendum sul lavoro sono stati promossi dalla CGIL. Il primo quesito, che alle urne si presenterà su scheda verde, è tra i più complessi. Proporrà di abrogare la disciplina sui licenziamenti illegittimi del contratto a tutele crescenti del Jobs Act, introdotta dal governo Renzi. Secondo l’attuale legge, le persone assunte dopo il 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti non devono essere reintegrate dopo un licenziamento ritenuto illegittimo dal giudice del lavoro. Sono tanti i casi di illegittimità del licenziamento; i più gravi sono quelli intimati per ragioni discriminatorie, pervenuti tramite forma orale o di natura disciplinare ma con l’insussistenza del fatto materiale contestato – nei confronti dei quali anche l’attuale legge prevede il reintegro obbligatorio, oltre al risarcimento. Per tutti gli altri casi di illegittimità, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di un indennizzo economico compreso tra 6 e 36 mensilità di stipendio (proporzionali all’anzianità di servizio del dipendente, quindi al tempo trascorso in azienda, da qui l’espressione “contratto a tutele crescenti”), senza prevedere il reintegro obbligatorio. Se dovesse vincere il sì, si tornerebbe al sistema preesistente al Jobs Act di Matteo Renzi, disciplinato dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, così come modificato dalla legge Fornero del 2012. Rispetto a oggi, si amplierebbero i casi in cui il licenziamento illegittimo comporta il reintegro del lavoratore in azienda.

Va detto che sulla norma oggetto del primo quesito è intervenuta la Corte Costituzionale, stabilendo che il tempo passato in azienda non possa essere l’unico criterio per definire l’indennizzo. Nelle mani del giudice è così stata riposta la discrezionalità sul suo ammontare, fino al massimo previsto di 36 mensilità. L’abrogazione della disciplina eliminerebbe eventuali ripensamenti futuri della Consulta. Il ripristino della situazione ante 2015 modificherebbe anche il parametro di riferimento per il limite massimo di mensilità, che passerebbe da 36 a 24, come previsto dalla legge Fornero. Insomma, sulla bilancia si pesano le maggiori possibilità per un reintegro e il minor indennizzo nei casi di solo risarcimento economico. In generale, il fronte del sì viene costruito sulla volontà di ripristinare alcuni diritti sottratti ai lavoratori dal Jobs Act. Per contro, il mantenimento dello status quo gioverebbe alle imprese, che manterrebbero una maggiore discrezionalità in materia di licenziamenti e indennizzi.

Quesito 2 – Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità

Il secondo quesito, presentato su scheda arancione, interviene sulle piccole imprese (con meno di 15 lavoratori), dove in caso di licenziamento illegittimo è prevista un’indennità economica di massimo sei mensilità. Se dovesse vincere il sì, tale limite verrebbe abrogato e l’entità dell’indennizzo andrebbe stabilita dal giudice di caso in caso, sulla base di una serie di criteri tra cui la gravità della violazione, l’età, la composizione familiare e la capacità economica dell’azienda, senza soglie minime o massime.

Votare sì comporta ripristinare maggiori tutele al lavoratore, optare per il no si traduce nella difesa delle imprese, che oggi, indipendentemente dalla capacità economica, possono essere obbligate al pagamento di un’indennità massima di sei mensilità. Ad ogni modo, il quesito non interviene sulle possibilità di reintegro nelle piccole imprese, la cui obbligatorietà non è prevista per tale tipologia di azienda.

Quesito 3 – Contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi

Il terzo quesito, che arriverà alle urne su scheda grigia, rimette al centro un’altra parte del Jobs Act, relativa ai contratti di lavoro a tempo determinato. Questa tipologia di prestazione disciplina oggi, in Italia, il lavoro di circa due milioni di persone. Attualmente, un contratto a tempo determinato può essere stipulato senza causale, cioè senza l’indicazione di un motivo specifico da parte del datore di lavoro, per una durata iniziale inferiore ai 12 mesi. Con la vittoria del sì, anche i contratti con una durata inferiore a un anno dovranno indicare la causale, in base alle regole previste dai contratti collettivi firmati dai sindacati (CCNL), con l’obiettivo dichiarato di diminuire i casi di ricorso ai contratti a termine a favore di quelli a tempo indeterminato. Tale obiettivo è sposato dai sostenitori del sì, mentre il fronte del no difende la flessibilità che l’attuale regime conferisce alle aziende.

Quesito 4 – Responsabilità per infortuni sul lavoro

Il quarto quesito, presentato su scheda rosa, interviene su uno dei nervi scoperti del lavoro in Italia: la sicurezza. Nel nostro Paese ogni anno muoiono sul lavoro più di mille persone, a cui si aggiungono centinaia di migliaia di infortuni di varia entità. Il quarto quesito, relativo alla catena committente-appaltatore-subappaltatore, intende aumentare la responsabilità dell’imprenditore committente, che è colui che ordina la prestazione lavorativa), in casi di infortuni e di malattie professionali del lavoratore. Ad oggi, in base al principio della responsabilità solidale, possono risponderne sia il committente sia l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori, fatta eccezione per i danni causati da rischi specifici dell’attività eseguite da questi ultimi due soggetti. I rischi specifici possono consistere, ad esempio, nell’esposizione a rumori o ad agenti chimici oppure nella movimentazione manuale dei carichi. Se dovesse vincere il sì verrebbe meno questa eccezione e il committente sarebbe sempre responsabile solidale con appaltatore e subappaltatore. «Cambiamo le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro», ha dichiarato la CGIL.

I sostenitori del sì puntano ad aumentare la responsabilità degli imprenditori in caso di ricorsi ad appalti e subappalti, spingendoli verso controlli e verifiche più dettagliate. L’obiettivo è di ridurre incidenti e morti sul lavoro. Secondo il fronte del no, invece, la disciplina vigente è corretta, ritenendo giusto l’attuale grado di responsabilità in capo al committente, che scarica parte dei rischi lungo la catena del lavoro.

Quesito 5 – Cittadinanza italiana

Chiude l’appuntamento referendario il quesito sulla cittadinanza italiana (scheda gialla). Ad oggi i cittadini extracomunitari immigrati in Italia devono risiedere consecutivamente nella nazione per un periodo minimo di dieci anni prima di poter avviare le pratiche per l’ottenimento della cittadinanza, periodo abbassato a cinque anni per coloro ai quali è stato riconosciuto lo status di apolide o di rifugiato, e a quattro anni per gli immigrati che hanno la cittadinanza di un altro paese UE. In caso di vittoria del sì si tornerebbe alle regole esistenti prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, abbassando i termini a cinque anni per gli immigrati extracomunitari e lasciandoli invariati per rifugiati e immigrati da Paesi parte dell’Unione Europea.

Niente cambierebbe invece rispetto alle altre condizioni accessorie che sono richieste per poter ottenere la cittadinanza, che rimarrebbero in vigore. Tra queste: la conoscenza della lingua italiana, l’obbligo di dimostrare di avere un reddito giudicato congruo, il rispetto degli obblighi tributari e l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica.

Secondo i fautori del sì, questo quesito non è un corpo estraneo al tema del lavoro trattato nei precedenti quattro. Le difficoltà di accesso alla cittadinanza, infatti, si prestano bene allo sfruttamento sul posto di lavoro e al caporalato. Inoltre, affermano, che negli oltre trent’anni trascorsi dal 1992 ha preso piede la concezione di cittadinanza come sentimento e condivisione di pratiche, piuttosto che come appartenenza fondata su una discendenza di sangue.

Posizioni dei partiti e questioni aperte

La maggioranza al governo ha invitato i suoi elettori all’astensione, così da non far raggiungere il quorum ed evitare il cambiamento di uno status quo difeso dalla rappresentanze degli imprenditori ma non da quelle dei lavoratori. Le opposizioni si sono invece divise. A favore di tutti e cinque i referendum c’è soltanto l’Alleanza Verdi-Sinistra Italiana. Formalmente ci sarebbe anche il Partito Democratico, ma va segnalata una spaccatura interna tra la linea dei cinque sì sposata dalla segretaria Elly Schlein e una corrente minoritaria che ha invece annunciato il parere favorevole a due dei cinque quesiti, su sicurezza e cittadinanza, proprio come +Europa. Sulla cittadinanza è d’accordo anche Italia Viva, nel suo unico sì ai referendum dell’8 e 9 giugno: i quesiti sui contratti a tutele crescenti e sulla reintroduzione delle causali nei contratti a tempo determinato sono stati bocciati dal partito di Renzi, che conferma dunque quanto fatto al governo col Jobs Act. Italia Viva ha poi lasciato libertà di voto ai propri elettori sui restanti quesiti: responsabilità in caso di incidenti sul lavoro e licenziamenti nelle piccole imprese. La libertà di voto il Movimento 5 Stelle l’ha indicata per il referendum sulla cittadinanza, mentre ha sposato in modo convinto i quesiti sul lavoro. Azione ha optato invece per una posizione quasi speculare, annunciando il voto favorevole al quesito sulla cittadinanza e quello contrario alle quattro richieste riguardanti il lavoro.

Al di là dei partiti, i referendum dell’8 e 9 giugno stanno mobilitando ampi settori della società civile. I sostenitori dei sì, oltre a convincere indecisi e controparte, devono fare i conti con un’immagine al momento compromessa del referendum, alla luce della disapplicazione operata dalla classe politica verso alcuni suoi esiti, tra cui la vittoria del sì alla consultazione sull’acqua pubblica, risalente al 2011.

Avatar photo

Salvatore Toscano

Laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, per L’Indipendente si occupa di politica, diritti e movimenti. Si dedica al giornalismo dopo aver compreso l’importanza della penna come strumento di denuncia sociale. Ha vinto il concorso giovanile Marudo X: i buoni perché della politica.

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

1 commento

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria