L’esercito israeliano ha dato ufficialmente avvio all’operazione Carri di Gedeone, che prevede un’intensificazione delle aggressioni terrestri nell’ottica di un’occupazione militare permanente della Striscia, da affiancare a una nuova modalità di gestione degli aiuti umanitari. L’ufficio del Primo Ministro ha fatto sapere che, con l’adozione di questo nuovo sistema, Israele riaprirà il valico di Rafah, per fare entrare «la quantità base di cibo» dopo oltre 70 giorni di blocco totale degli aiuti. Una decisione «difficile», ha specificato il premier davanti alle numerose critiche: le operazioni non possono proseguire, se la comunità internazionale preme perché entrino gli aiuti a Gaza. «Non stiamo liquidando la questione, ma per farlo dobbiamo fare in modo che non ci fermino». Gli aiuti umanitari, insomma, vengono trattati alla stregua di una questione diplomatica, come del resto provano gli incessanti bombardamenti sulla Striscia: solo nella giornata di ieri l’esercito dello Stato ebraico ha ucciso oltre 150 persone in tutta Gaza, di cui almeno 36 in un bombardamento nel campo di Al Mawasi, in teoria individuato come area umanitaria.
L’operazione Carri di Gedeone è iniziata ieri, domenica 18 maggio. Carri di Gedeone prevede un allargamento su larga scala delle operazioni militari, che finiranno per interessare tutta la Striscia simultaneamente, col fine di consentire una occupazione militare dell’intera area. Nel frattempo, la popolazione verrà spostata a sud, dove rimarrà l’unica area umanitaria di tutta Gaza. Carri di Gedeone è pensata per viaggiare in parallelo alla nuova modalità di gestione degli aiuti umanitari: questo nuovo metodo prevede l’installazione di punti di distribuzione sorvegliati dalle IDF verso cui potrebbe dirigersi un solo rappresentante per famiglia per andare a ritirare gli aiuti. La distribuzione verrà affidata a Gaza Humanitarian Foundation, neo-istituita agenzia statunitense. «Israele consentirà l’ingresso di una quantità minima di cibo per la popolazione, al fine di impedire lo sviluppo di una crisi di carestia nella Striscia di Gaza» ha spiegato ieri l’ufficio del primo ministro, ripreso da vari quotidiani israeliani.
L’annuncio della fine del blocco umanitario ha spaccato a metà la coalizione governativa israeliana, con il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir che ha duramente contestato Netanyahu. Questa mattina, dunque, il premier ha risposto alle critiche rilasciando una dichiarazione video sul proprio canale Telegram, in cui spiega le ragioni dietro la sua decisione. Gli alleati di Israele insistono con il fatto che non possono accettare immagini di gente affamata: «Per ottenere la vittoria, dobbiamo in qualche modo risolvere il problema», spiega Netanyahu. Ecco dunque che fino a che le IDF non avranno ottenuto il controllo militare della Striscia, «dovremo fornire una sorta, un minimo, di mediazione» e rispettare le richieste degli alleati: non lasciare morire la gente di fame. Resta ancora da capire quando verrà realmente rimosso il blocco degli aiuti umanitari. I giornali israeliani sostengono che l’entrata dei camion di aiuti nella Striscia dovrebbe ripartire «immediatamente», ma nella sua dichiarazione video Netanyahu ha affermato che i punti di distribuzione verranno istituiti solo «nei prossimi giorni». Il destino delle migliaia di camion che aspettano sul confine per Rafah, insomma, è ancora oscuro.
Col lancio di Carri di Gedeone, Israele non ha solo annunciato la possibile riapertura delle frontiere per fare entrare gli aiuti umanitari, ma anche intensificato notevolmente i bombardamenti sulla Striscia. Dopo le centinaia di morti e feriti di ieri, stamattina l’aviazione israeliana ha bombardato l’ospedale di Nasser a Khan Younis uccidendo almeno 6 persone nella città. Sempre oggi, inoltre, il portavoce delle IDF in lingua araba Avichay Adraee ha rilasciato una mappa che ritrae l’intera area di Khan Younis come zona di combattimento, per spingere i civili ancora più a sud. Khan Younis sta venendo infatti attaccata anche dalla fanteria israeliana, destino che condivide con il Governatorato di Nord Gaza, altra località dove le operazioni sembrano concentrarsi con forza. In totale oggi, a partire dall’alba, Israele ha ucciso almeno 23 palestinesi.
Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto o danneggiato il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento risale a prima del cessate il fuoco del 19 gennaio), l’82% delle terre coltivabili (i dati più recenti sono di ottobre 2024), l’88,5% delle scuole (dato del 25 febbraio 2025) e, in generale, il 69% di tutte le strutture della Striscia (1 dicembre 2024). Il 59% del territorio della Striscia risulta sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 53.339 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.
Schifosi bastardi, spero che un giorno o l’altro abbiano tutto ciò che meritano!