giovedì 8 Maggio 2025

Stati Uniti, decine di studenti della Columbia arrestati per le proteste pro-Palestina

Almeno una cinquantina di studenti della Columbia University, negli Stati Uniti, sono stati arrestati ieri, dopo che la Columbia University Apartheid Divest, rete di gruppi studenteschi filo-palestinesi, ha infatti occupato la biblioteca dell’istituto per protestare contro i legami dell’università con Israele. La repressione poliziesca segna il continum dell’amministrazione di Trump con quella di Biden, iniziata dopo che, lo scorso anno, gli studenti della Columbia e di numerosi altri college degli USA si erano mobilitati in sostegno al popolo palestinese e contro l’amministrazione israeliana e il governo statunitense, suo primo alleato. Nonostante gli arresti e le denunce, la protesta non è mai veramente cessata.

Ieri, su richiesta dei funzionari della Columbia University, la polizia è arrivata in forze al campus per sgomberare gli studenti che per protesta avevano occupato la Butler Library, la biblioteca universitaria. Secondo alcuni media, sarebbero almeno una cinquantina gli studenti che sono stati arrestati e caricati nei furgoni del dipartimento di polizia di New York, mentre gli agenti setacciavano gli edifici del campus alla ricerca di altri attivisti filo-palestinesi impegnati nella protesta. «Tutti hanno il diritto di protestare pacificamente. Ma la violenza, il vandalismo o la distruzione di proprietà sono completamente inaccettabili», ha detto il governatore di New York, Kathy. La Columbia University Apartheid Divest, una rete di gruppi studenteschi, che ha pubblicato il video della protesta, ha fatto circolare le richieste di lunga data affinché l’Università cessi le sue collaborazioni con produttori di armi e altre società che sostengono l’occupazione militare israeliana dei territori palestinesi e il genocidio di Gaza.

Lunedì, invece, a Washington, sono stati arrestati 34 manifestanti filo-palestinesi per aver occupato un edificio dell’Università, chiedendo al campus di tagliare i legami con Boeing per i suoi contratti con l’esercito israeliano. In quel caso, i manifestanti sono stati accusati di violazione di domicilio, distruzione di proprietà e condotta disordinata. I campus statunitensi sono dunque tornati ad essere in forte subbuglio, anche se le proteste non si erano mai veramente arrestate durante questo anno, sebbene abbiano attraversato diversi picchi d’intensità. Dopo l’insediamento dell’amministrazione Trump, la protesta studentesca sembra però essere tornata ai livelli dello scorso anno, quando alla Casa Bianca c’era Joe Biden.

Questo potrebbe essere dovuto non solo al sostegno che Trump ha dimostrato ad Israele, in perfetta prosecuzione con quanto fatto dalla precedente amministrazione democratica, ma anche perché il Presidente statunitense ha ultimamente attuato politiche repressive del dissenso degli studenti, così come dei professori, filo-palestinesi. Tra queste decisioni, per ultima, era arrivata la sospensione dei fondi alla Columbia University come forma di pressione e ricatto, giustificata con l’accusa rivolta all’Università di non aver contrastato adeguatamente episodi di antisemitismo all’interno del campus. E la Columbia non è la sola Università che si è vista sospendere le sovvenzioni. Nell’aprile scorso, infatti, persino la prestigiosa Harvard si era vista tagliare i fondi per il medesimo motivo.

Evidentemente a Trump non è bastato che lo scorso settembre, con l’inizio del nuovo anno accademico, le università americane abbiano aggiornato i propri codici di condotta con lo scopo di depotenziare e criminalizzare le proteste studentesche all’interno dei propri campus ed evitare il ripetersi di una stagione di contestazioni a sostegno della causa palestinese simile a quella dell’anno accademico passato. E proprio la Columbia University, al fine di soddisfare le richieste del governo, allora guidato da Biden, aveva equiparato l’antisionismo all’antisemitismo, in un chiaro tentativo di giustificare la repressione del dissenso.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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