La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver tutelato i cittadini esposti all’inquinamento delle fonderie Pisano, in provincia di Salerno. Il ricorso, presentato nel 2018 da 151 residenti di Salerno, Pellezzano e Baronissi, è stato accolto: secondo la CEDU, l’impianto ha causato gravi danni ambientali tra il 2008 e il 2016, senza adeguata informazione pubblica. Studi del 2017 mostrano nei residenti livelli di mercurio cinque volte superiori alla media. Nonostante i successivi interventi istituzionali, la Corte ha evidenziato l’assenza di reale protezione per la popolazione già colpita.
Le Fonderie Pisano sono in funzione dal 1960. Nel 2006, il piano urbanistico ha definito l’area «assolutamente incompatibile» con il contesto urbano a meno di una delocalizzazione dell’azienda. La delocalizzazione non c’è mai stata, ma quello stesso anno la zona è stata aperta allo sviluppo residenziale. Una situazione che, fino ad oggi, nessun governo si è mai incaricato di risolvere. L’inquinamento derivante dall’impianto, che ha diffuso nell’ambiente circostante sostanze quali metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici, ha avuto conseguenze gravi sulla salute della popolazione. Un’analisi portata a termine sulla popolazione nel 2018 ha rivelato che, in media, i residenti dei Comuni vicini all’impianto avevano un tasso di mercurio nel sangue di cinque volte superiore a quello medio della popolazione. In aggiunta a ciò, è stato anche rilevato un aumento delle alterazioni endocrine e dell’insorgenza di patologie tumorali, quali cancro al seno, gastrico, ai polmoni e melanoma, oltre a malattie cardiovascolari e neurologiche.
Lo studio epidemiologico condotto sulla popolazione, insieme ai dati sull’inquinamento ambientale prodotto dall’azienda, hanno costituito la base dalla quale la Corte è partita per giungere alla sentenza. Secondo una delle ultime perizie, effettuata nel 2021, l’area risultava sottoposta a una «forte pressione ambientale», con le aree residenziali collocate molto vicino alle fonti di emissione». Le emissioni inquinanti dell’azienda, inoltre, avevano superato di molto i limiti imposti dalla legge, con conseguenze sulla popolazione. A contribuire alla mancanza di tutele adeguate vi era anche il fatto, secondo la Corte, che la legge sulla prevenzione dei reati ambientali fosse, almeno fino al 2015, di «dubbia efficacia».
La Corte ha sancito quindi l’esistenza della violazione dell’art. 8 della Convenzione dei Diritti Umani, relativo al diritto alla vita privata, e imposto allo Stato di ripagare i ricorrenti entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva, in quanto le istituzioni «non hanno preso tutte le misure necessarie per garantire l’effettiva tutela dei diritti dei cittadini». «È stato necessario l’intervento della Magistratura Europea per ripristinare la verità e per restituire dignità alle tante famiglie che, negli anni, hanno vissuto sulla propria pelle le conseguenze di una situazione insostenibile» ha commentato il sindaco di Pellezzano, Francesco Morra. «Oggi questa sentenza rappresenta un passo fondamentale verso il riconoscimento dei diritti, della salute e del rispetto dovuto alla nostra comunità».