sabato 19 Aprile 2025

Gaza: Israele non vuole avviare la seconda fase della tregua e blocca gli aiuti umanitari

Il governo israeliano ha bloccato l’ingresso degli aiuti a Gaza: una mossa contraria al diritto internazionale umanitario e in aperta violazione degli accordi di cessate il fuoco stipulati con Hamas, nell’evidente tentativo di forzare il movimento palestinese ad accettare la prosecuzione degli scambi di prigionieri senza attuare la fase II dell’accordo, che prevederebbe la fine totale delle ostilità e il ritiro israeliano dalla Striscia. Netanyahu, con il supporto dell’amministrazione Trump, sta infatti cercando di cambiare le carte in tavola e ha proposto una prosecuzione del cessate il fuoco limitata al Ramadan e alla Pasqua, chiedendo che Hamas rilasci la metà degli ostaggi, vivi e morti, già nel primo giorno della tregua. Il movimento palestinese, però, denuncia come questo accordo sia contrario a quanto stabilito e non assicuri la fine del genocidio in corso.

La decisione di interrompere il flusso in entrata di aiuti umanitari nella Striscia è stata annunciata ieri, domenica 3 marzo, in occasione della fine della prima fase del cessate il fuoco. Questa prevedeva un primo ritiro dell’esercito israeliano da Gaza, diversi scambi di ostaggi e prigionieri e un cessate il fuoco temporaneo, da adottare mentre intanto proseguivano le trattative per arrivare a una tregua permanente, il rientro degli ostaggi rimanenti e il ritiro completo delle truppe, da attuarsi nella fase II. L’annuncio di ieri è arrivato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale ha affermato che Hamas avrebbe rifiutato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti per il Medioriente, Steve Witkoff, che prevedeva un’estensione della prima fase della tregua. Il piano di Witkoff non è stato reso pubblico, ma, da quanto comunica Netanyahu, esso prevederebbe altri cinquanta giorni di cessate il fuoco temporaneo e il rientro immediato della metà degli ostaggi ancora nelle mani dei gruppi palestinesi; ad oggi, ne resterebbero ancora 59: 24 vivi e 35 morti.

La proposta israelo-statunitense di allungare la fase I dell’accordo era già trapelata sabato 1° marzo. Il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, aveva risposto che dietro alla sua formulazione Israele celava la volontà di recuperare gli ostaggi rimanenti mantenendo la possibilità di riaccendere il conflitto. Ed effettivamente è quello che sembra stare accadendo. Dopo l’annuncio di Netanyahu, il ministro delle Finanze israeliano Belazel Smotrich ha appoggiato la presa di posizione del proprio premier; Smotrich ha parlato esplicitamente di interrompere il flusso degli aiuti «finché Hamas non sarà distrutto o si arrenderà completamente e tutti i nostri ostaggi non saranno restituiti». Ha poi aggiunto che è il momento di «aprire le porte dell’Inferno al crudele nemico il più rapidamente e mortalmente possibile, fino alla completa vittoria». Poco prima dell’annuncio di Netanyahu, inoltre, il Segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha approvato la consegna rapida di circa 4 miliardi di dollari in assistenza militare a Israele, facendo ricorso a misure di emergenza per accelerare la spedizione.

L’interruzione degli aiuti umanitari arriva in concomitanza con l’avvio del mese di Ramadan. Nel suo annuncio, Netanyahu ha ripetuto l’ormai consueta accusa per cui «Hamas ruba le forniture e impedisce alla popolazione di Gaza di ottenerle». Hamas, invece, ha parlato di aperta violazione degli accordi, accusando inoltre Israele di aver ritardato i colloqui per stabilire i termini della fase II. Effettivamente, tra polemiche, attese diplomatiche e violazioni (Hamas ne denuncia 350), sembra che Israele abbia fatto di tutto per ritardare le discussioni per quella che risulta la fase più sensibile della tregua, iniziate, malgrado i diversi solleciti, solo giovedì scorso. Il punto di attrito su cui sembra esserci uno spazio limitato per le trattative è lo stesso per cui sono falliti anche i precedenti negoziati di cessate il fuoco: le aree sensibili della Striscia. La scorsa settimana un ufficiale israeliano, che ha parlato in condizioni di anonimato, ha confermato a diversi media che Tel Aviv non ha intenzione di abbandonare il corridoio di Philadelphi, che divide il sud della Striscia dall’Egitto. Nel frattempo, sembrano ripartire le aggressioni mai davvero terminate: i media palestinesi riportano di due civili uccisi a Rafah da colpi di arma da fuoco.

[di Dario Lucisano]

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3 Commenti

  1. I Sionisti rispetteranno l’agenda da loro definita quattro anni fa, di espellere tutti gli arabi dai territori palestinesi, libanesi e della Cisgiordania per creare il Grande Israele.
    La Lobby israelo-sionista ormai diffusa nel mondo intero detta le politiche estere dei vari paesi, giocando su una leva che gli ebrei inventarono nel 1600, alla creazione della Bank of England, nella quale istaurarono il Debito Pubblico, estendendolo gradualmente in tutti i paesi del mondo, del quale si sarebbero appropriati per ricattare i politici. Motivo per il quale l’inviato speciale di Washington in Europa, von der Leyen, ha promosso e sostenuto le spese fuori bilancio, sia per sostenere l’economia USA (affermazione di Meloni al CPAC dello scorso mese), sia per stimolare i paesi europei a produrre più debito pubblico, da un canto per renderlo più dipendente dagli ordini statunitensi e dall’altro per incrementare le ricchezze dello Stato Profondo.

  2. I Sionisti americani (grandi elargitori di dollari durante la campagna elettorale) hanno convinto Donald a lasciar perdere l’ Ucraina, strategicamente una nullità, e concentrarsi sul rafforzamento del sionista Bibi che governa il centro del mondo.

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