Il gruppo Nestlé Italia, insieme a Luiss Business School e Scs Consulting, ha presentato Il nido che condividiamo, il primo studio di impatto sociale che rileva l’apporto dell’azienda in sei macro-aree: benessere delle persone del Gruppo Nestlé in Italia e delle loro famiglie; supporto alle comunità locali; educazione alimentare; salute e benessere nutrizionale; sicurezza sul lavoro; donazioni e volontariato aziendale. Considerata la storia e la realtà produttiva della multinazionale svizzera, balzano immediatamente all’occhio le aree dedicate alla nutrizione e all’alimentazione. Bevande e alimenti insalubri (insieme alla privatizzazione dell’acqua) sono infatti un marchio di fabbrica dell’azienda, leader mondiale del settore alimentare. Sembra quindi assurdo che Nestlé possa entrare nelle aule scolastiche con il fine di educare decine di migliaia di bambini in ambito alimentare e sul benessere nutrizionale, nonché sull’utilizzo sostenibile dell’acqua. Altrettanto inverosimile è il fatto che Nestlé possa formare in tali ambiti neonatologi e pediatri.
L’insegnamento nelle scuole
Alimenti per l’infanzia, cereali da colazione, dolciumi vari, acqua in bottiglia, caffè e tè, gelati, cibi surgelati, gelati, snack e cibi per animali domestici – e l’elenco potrebbe andare avanti. È sufficiente aprire le credenze della maggior parte delle case italiane per capire quanto sia lunga la lista di alimenti con i quali ha a che fare Nestlé. La multinazionale svizzera possiede nel mondo circa 2.000 marchi ed ha un fatturato di 93 miliardi di euro, con un utile netto che supera di poco gli 11 miliardi di euro. Nestlé Italia, in particolare, gestisce più di 90 marchi ed ha un fatturato annuo di circa 2 miliardi di euro. Lo studio condotto dalla filiale italiana, effettuato con lo scopo di esaltare il proprio impegno sociale, colpisce soprattutto per i suoi progetti inerenti l’educazione alimentare e la salute e il benessere nutrizionale. Nutripiatto e A scuola di acqua sono due progetti con cui «il Gruppo promuove stili di vita alimentari, bilanciati e sostenibili», i quali nel solo 2023 hanno coinvolto circa 72.000 bambini di scuole primarie e secondarie.
A scuola di acqua: sete di futuro è un progetto educativo iniziato nel 2015, promosso dal Gruppo Sanpellegrino – di proprietà di Nestlé – con il supporto di ScuolAttiva Onlus, che da 20 anni è attiva nei campi dell’educazione e della comunicazione applicata alla responsabilità sociale d’impresa. Come si può leggere nello studio realizzato dalla multinazionale svizzera, lo scopo del progetto sarebbe quello di accompagnare «gli alunni delle scuole primarie italiane alla scoperta dell’acqua, elemento essenziale per la nostra esistenza e fondamentale per preservare la salute del nostro corpo e dell’intero ecosistema, del riciclo come comportamento virtuoso da promuovere e del cambiamento climatico». Dall’inizio della sua messa in opera ad oggi, A scuola di acqua: sete di futuro ha coinvolto più di 4.000 scuole, circa 8.500 docenti e quasi 400.000 studenti.
Nutripiatto, istituito a partire dal 2019, è stato ideato da esperti di nutrizione di Nestlé, in collaborazione con l’Università Campus-Biomedico di Roma e SIPPS, Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale. Il progetto, che lo scorso anno ha coinvolto 23.000 bambini, si rivolge alla fascia di età 4-12 anni ed è stato «sviluppato per supportare le famiglie a seguire uno stile alimentare bilanciato», coinvolgendo i bambini nella preparazione dei propri pasti. Nel 2023, Nestlé ha partecipato con il proprio progetto a due convegni nazionali di SIPPS.
La formazione di neonatologi e pediatri
Come spiegato nello studio, nel campo della prevenzione e della promozione della salute, Nestlé ha istituito tre progetti di formazione. Nel 2022, Nestlé Nutrition ha dato vita a Next Generation Neonatologia e Next Generation Pediatria, rispettivamente in partnership con SIN (Società Italiana di Neonatologia) e SIP (Società Italiana di Pediatria). Il primo è volto alla formazione di giovani neonatologi, tra le figure principali nei primi mesi di vita di un bambino, tramite un corso della durata di due anni in cui vengono insegnati aspetti della nutrizione, dell’infettivologia, della pneumologia, della neurologia, della rianimazione neonatale e della comunicazione. Il secondo riguarda la formazione di giovani pediatri attraverso percorsi formativi che li accompagnino «nella loro crescita professionale affinché possano avere a disposizione gli strumenti e le competenze necessarie per assistere il bambino e la famiglia in modo ancora più puntuale e aggiornato». Nel 2023, in collaborazione con SIN, Nestlé ha dato vita anche al programma One Health, incentrato sui piccoli nati prematuri in un percorso che li accompagna fino ai 6 anni di vita, «per assicurarsi che la loro crescita ed il loro sviluppo siano regolari e sani anche nel medio-lungo termine».
Inoltre, dal 2009 opera l’Osservatorio Nestlé, attraverso cui la multinazionale osserva e studia i comportamenti alimentari degli italiani, analizzando gli atteggiamenti e le abitudini che possono influenzare la qualità del benessere quotidiano. Ogni anno viene redatto un report i cui dati e le analisi sono forniti da Giuseppe Fatati, Presidente dell’Italian Obesity Network.
Nestlé e la privatizzazione dell’acqua: tra profitto e scandali

Quanto fino a qui descritto contrasta non poco con quella che è da sempre la politica di Nestlé e con la lunga storia dell’azienda. Nel 2005 è stato distribuito il documentario di Erwin Wagenhofer, dal titolo We feed the World, nel quale viene descritta, con taglio critico, la produzione industriale del cibo, inserendola nel contesto della globalizzazione. Tra gli intervistati c’era anche Peter Brabeck, allora presidente di Nestlé, il quale affermava: «L’acqua è, naturalmente, la materia prima più importante che abbiamo oggi nel mondo. Esiste la questione se si dovrebbe privatizzare la normale fornitura d’acqua per la popolazione. In merito ci sono due opinioni diverse. La prima, che reputo estrema, è quella delle ONG, che si battono per dichiarare l’acqua un diritto pubblico. Ciò significa che come essere umano dovresti avere il diritto all’acqua. Questa è una soluzione estrema. L’altro punto di vista dice che l’acqua è un alimento come gli altri e che, come ogni altro prodotto alimentare, dovrebbe avere un valore di mercato. Personalmente, credo che sia meglio dare un valore a un prodotto alimentare in modo che tutti siano consapevoli del suo prezzo, e quindi che si dovrebbero prendere misure specifiche per la parte della popolazione che non ha accesso a quest’acqua, e ci sono molte diverse possibilità».
D’altro canto, nel 2000, al secondo Forum Mondiale dell’Acqua, Nestlé persuase il Consiglio Mondiale dell’Acqua a modificare la sua dichiarazione in modo da ridurre l’accesso all’acqua potabile da un «diritto» a un «bisogno». Infatti, una fetta del profitto che la multinazionale realizza deriva alla vendita di acqua in bottiglia, per cui necessita del controllo delle falde acquifere. Gli scandali che legano Nestlé all’acqua sono molti, dall’acqua contaminata da feci, batteri Escherichia coli, PFAS e pesticidi, al drenaggio e alla sottrazione di gigantesche quantità d’acqua.
Dal cibo non sano allo scandalo del latte in polvere
Altrettando incredibile è che Nestlé intenda insegnare ai bambini i principi della nutrizione e del benessere alimentare. Nel 2021, un documento interno della multinazionale svizzera ammetteva che la maggior parte dei cibi da essa prodotta non erano sani. Il rapporto trapelato, al quale ha avuto accesso il Financial Times, riferiva che solo una minima parte degli alimenti e delle bevande Nestlé ha ottenuto un punteggio superiore a 3,5 punti, ossia la soglia minima per definirli «sani» sulla base di un sistema di valutazione australiano utilizzato dagli esperti del settore di tutto il mondo. Il documento rilevava infatti come il 70% dei prodotti alimentari, il 99% di quelli del comparto pasticceria e gelateria ed il 96% delle bevande non ha raggiunto la soglia minima per essere considerati sani. Quest’anno dopo due anni di indagini, Nestlè è stata ufficialmente rinviata a giudizio in Francia per lo scandalo delle pizze Buitoni contaminate dal batterio Escherichia coli, che all’inizio del 2022 avrebbero causato la morte di due bambini. In seguito all’apertura dell’inchiesta, l’azienda aveva richiamato immediatamente in via precauzionale le pizze surgelate e fatto chiudere il suo stabilimento di Caudry, nel Nord del Paese. Lì erano infatti state prodotte le pizze della gamma Fraîch’Up della Buitoni che avrebbero comportato i decessi dei due piccoli, oltre a gravi lesioni per altri 55 minori e un adulto.

A partire dagli anni ’70, Nestlé ha portato avanti una massiccia pubblicità – soprattutto nei Paesi più poveri – per convincere del fatto che il suo latte in polvere avesse le stesse proprietà nutritive di quello materno. In quegli anni, l’azienda ha inviato negli ospedali dei Paesi del su del mondo dei suoi rappresentanti vestiti da infermieri, con lo scopo di “assistere” le neomamme impossibilitate o in difficoltà ad allattare al seno, offrendo loro anche dei campioni gratuiti di latte in polvere da provare. La vicenda non è passata inosservata. In tutto il mondo, intorno agli anni ’80, sono partiti massicci boicottaggi, che hanno costretto la multinazionale a sospendere la campagna marketing. Un’opposizione che continua ancora oggi in diversi Paesi e per mano di diverse organizzazioni.
Il cioccolato e lo sfruttamento del lavoro minorile

Nestlé, che deve la sua fama anche a snack e dolciumi, notoriamente ricchi di cioccolato, si lega alle vicende di sfruttamento del lavoro, anche minorile, per la coltivazione della fava del cacao. Nel 2005, l’International Labor Rights Fund (ILRF), insieme alla società per i diritti civili Wiggins, Childs, Quinn & Pantazis, ha citato in giudizio Nestlé, insieme a Archer Daniels Midland e Cargill, con l’accusa di tratta di esseri umani, tortura e sfruttamento minorile. La causa era stata intentata per conto di bambini che sono stati trafficati dal Mali alla Costa d’Avorio e costretti a lavorare dalle dodici alle quattordici ore al giorno senza paga, con poco cibo e frequenti percosse. «È inconcepibile che Nestlé, ADM e Cargill abbiano ignorato gli avvertimenti ripetuti e ben documentati negli ultimi anni secondo cui le fattorie che utilizzavano per coltivare il cacao impiegavano bambini lavoratori schiavi. Avrebbero potuto porre fine a tutto questo anni fa, ma hanno scelto di guardare dall’altra parte», ebbe a dire l’avvocato dell’ILRF, Natacha Thys.
Nestlé preferisce apporre sui propri prodotti marchi come quello rilasciato da Rainforest Alliance, organizzazione che conferisce certificazioni basate sul rispetto dell’ambiente e dei lavoratori a grandi aziende che in passato sono state travolte da numerosi scandali. In altre parole, certificazioni che mascherano azioni di greenwashing e socialwashing.
[di Michele Manfrin]
3/4 della merce esposta sulle scansie dei supermercati nel settore alimentare è inutile e dannosa ,basterebbe avere uno stile alimentare poverissimo di zuccheri semplici e ultra processati per mettere in difficoltà questi colossi produttori di cibo spazzatura .
Se non mangi i prodotti Nestlé, ti ammali e muori.
🤭
e’ la pubblicita’ l’arma piu potente che hanno le multinazionali: ogni minuto bormbardato da immagine gioiose ed allegre di gente che si rimepe di spazzatura. da quando siamo bambini fino all’eta’ adulta.
Alla faccia dei pomposi quanto vuoti bla bla Meloniani su “…. sovranità alimentare… qualità….eccellenze… salubrità….sostenibilita del cibo italiano….” Spudorati bugiardi, tutti! ( insegnanti, scuole e università compresi )
Il vero problema è la disinformazione. 30 anni di consumo critico non sembrano aver scalfito più di tanto le abitudini di consumo delle persone. La maggior parte dei consumatori non si informa e compra in base ai gusti, al costo, alle abitudini, al greenwashing
Fa sempre bene rammentare ai lettori gli innumerevoli scandali in cui è coinvolta Nestlè. Aggiungerei che lo stato italiano ci guadagna assai sull’acqua in bottiglia visto che è ha posto un’ aliquota Iva del 22%. Un bene quasi voluttuario.