lunedì 29 Aprile 2024

Un cittadino di Gaza ha fatto causa all’Italia per complicità con il genocidio israeliano

Un cittadino di Gaza ha intentato una causa al governo italiano per le complicità con le violazioni di diritti umani consumate dalle autorità israeliane nella Striscia di Gaza. Si tratta dell’avvocato Salahaldin M. A. Abdalaty, a cui alla fine del 2023 sono stati uccisi ben sei familiari nella cornice dei massacri compiuti dall’IDF in Palestina. Grazie a un’équipe di legali di Torino – composta da Stefano Bertone, Marco Bona, Gianluca Vitale ed Emanuele D’Amico –, negli scorsi giorni Abdalaty è riuscito a depositare al Tribunale di Roma un ricorso urgente in cui si chiede l’intervento della magistratura al fine di vietare all’esecutivo italiano di essere complice nei crimini contro l’umanità perpetrati dal governo Netanyahu, che ha trovato il sostegno di una lunga serie di associazioni di giuristi internazionali, le quali hanno aderito al ricorso sottoscrivendo un comunicato dal titolo “Gaza, causa all’Italia per complicità in crimini contro l’umanità e nel genocidio”.

Nello specifico, all’interno del ricorso, Salahaldin – membro del Palestinian Bar Association (l’ordine degli avvocati palestinesi) – chiede espressamente che siano ordinate l’immediata imposizione del divieto di vendita e trasferimento di armi e materiali correlati, “tra cui software e materiali a duplice uso”, il ristabilimento della partecipazione dell’Italia ai finanziamenti all’Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi), la sospensione di ogni sostegno diretto o indiretto alle operazioni militari israeliane”, nonché il divieto di uso dello spazio aereo italiano per finalità correlate al trasferimento di armi e intelligence a Israele. Si richiede, inoltre, “il voto favorevole del governo in sede Onu, Consiglio europeo e ogni altro organismo internazionale a ogni iniziativa finalizzata a far cessare incondizionatamente le operazioni militari nella Striscia di Gaza” e a salvaguardare la vita della popolazione che abita l’enclave. Il ricorrente afferma che le operazioni militari a Gaza “proseguono grazie anche al grado di partecipazione” del nostro Paese, che “non ha fermato le consegne di armamenti (…) malgrado il crescendo, al di là di ogni nozione di ‘proporzionalità’, del numero di civili morti, feriti o esposti al rischio” né interrotto la “stipula di nuovi contratti” per “la fornitura di macchinari-strumenti destinati all’esercito israeliano”. Nel ricorso, gli avvocati del Foro di Torino citano i “danni gravissimi patiti dal ricorrente”, sottolineando che lo scorso 7 dicembre, a causa di un bombardamento effettuato dall’esercito israeliano sulla Striscia di Gaza, hanno perso la vita la madre, il fratello, la sorella, la cognata, una nipote di soli due anni e un sesto familiare di Salahaldin. Quest’ultimo, nella sua memoria, ricorda che “l’Italia ha l’obbligo giuridico, ai sensi del diritto internazionale, di esercitare pressioni su coloro che si ritiene stiano commettendo crimini contro l’umanità e di genocidio, ai sensi, tra l’altro, dell’art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione di Ginevra contro il genocidio” e che “l’assistenza attiva può costituire complicità ai sensi dell’art. 3 della Convenzione di Ginevra e comunque configura una responsabilità civile dello Stato italiano”. Salahaldin si trova attualmente in Egitto, dopo essere riuscito a fuggire da Gaza attraverso il vicolo di Rafah. Nel frattempo, è stata diramata una nota stampa sottoscritta da quattordici associazioni di giuristi di tutto il mondo, che hanno aderito all’azione di Salahaldin e hanno spiegato i contenuti del suo ricorso.

«Il caso riguarda un ricorso individuale che ha una rilevanza collettiva, perché è vero che è il collega palestinese che firma il ricorso, essendo una causa civile, ma le conseguenze non andrebbero solo a beneficio suo e dei suoi familiari», ha spiegato a L’Indipendente l’avvocato Gianluca Vitale, uno dei membri del pool di legali di Torino che ha offerto sostegno a Salahaldin. «Ciò che credo sia estremamente significativo è che si tratta di una questione strettamente giuridica: non a caso quel comunicato vede il supporto e l’adesione sostanzialmente di associazioni di avvocati – ha aggiunto il legale -, noi non stiamo facendo politica, ma diritto, e chiediamo che il tribunale di Roma assuma una decisione legittima da un punto di vista giuridico, non politico, così come la Corte Internazionale di Giustizia non ha fatto politica quando ha detto che c’è un plausibile rischio di genocidio, ma diritto». «Dal nostro punto di vista, in questo momento, le regole del diritto impongono di sospendere ogni possibile collaborazione con attività che vengano poste in essere dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza», ha concluso Vitale.

[di Stefano Baudino]

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