martedì 8 Ottobre 2024

Spazio, una nuova scoperta aiuta a capire meglio la nascita dei pianeti

Tutta l’acqua contenuta nei nostri oceani ma moltiplicata per tre e situata nello spazio in orbita intorno ad una giovane stella distante 450 anni luce da noi: è la nuova scoperta di un team di ricerca internazionale che, guidato dall’Università statale di Milano, è riuscito a mappare vapore acqueo in un disco proto-planetario, la regione attorno ad una stella dove si formano i pianeti. La ricerca è stata effettuata grazie all’incredibile sensibilità dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) e dimostra come l’acqua possa svolgere un ruolo cruciale non solo per la nascita della vita, “ma anche per quella dei pianeti, proprio come avvenne 4,5 miliardi di anni fa nel nostro Sistema Solare”. I risultati sono stati inseriti in uno studio già sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su Nature Astronomy.

Le nuove osservazioni dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array mostrano il vapore acqueo nei toni del blu. Vicino al centro del disco, dove vive la giovane stella, l’ambiente è più caldo e il gas più luminoso. Gli anelli di colore rosso invece sono precedenti osservazioni di ALMA che mostrano la distribuzione della polvere attorno alla stella. Credit: ALMA (ESO/NAOJ/NRAO)/S. Facchini et al.

Osservare vapore acqueo nello spazio con un telescopio terrestre è un’impresa tutt’altro che semplice se si pensa che l’abbondante presenza di gas nella nostra atmosfera degrada i segnali astronomici, che risultano quindi più complessi da interpretare. Tuttavia, in questo caso la sfida non ha rappresentato un ostacolo significativo grazie all’utilizzo di ALMA: una serie di telescopi gestita dall’Osservatorio Europeo Australe (ESO) e da altri partner internazionali e situata appositamente nel deserto cileno di Atacama a circa 5.000 metri di altitudine per ridurre al minimo tale disturbo e fornire condizioni di osservazione ottimali. «Ad oggi, ALMA è l’unica struttura in grado di risolvere spazialmente l’acqua in un disco freddo di formazione planetaria», ha affermato Wouter Vlemmings, professore di radioastronomia alla Chalmers University of Technology in Svezia e coautore dello studio.

Le misurazioni hanno sfruttato i ricevitori di Banda 5 e Banda 7 dell’ALMA, che hanno consentito ai ricercatori di osservare una nuova gamma di frequenze specifiche che hanno permesso di identificare le formazioni di vapore acqueo e di mapparne le diverse temperature all’interno del disco proto-planetario. È stata rilevata l’azione di granelli di polvere che si scontrano e si aggregano in corpi sempre più grandi e il tutto, secondo i ricercatori, sarebbe «più efficiente» nei luoghi più freddi dove l’acqua riesce a congelarsi e attaccarsi a tali particelle. «È davvero emozionante osservare direttamente, in un’immagine, il rilascio di molecole d’acqua da particelle di polvere ghiacciata», ha affermato Elizabeth Humphreys, astronoma dell’ESO e coautrice della ricerca.

Inoltre, l’acqua è stata trovata anche in una zona “vuota” del disco che si è formata tra gli strati più ricchi di gas e polveri. Questi “gap”, secondo i ricercatori, sono scavati nei dischi da corpi celesti giovani in orbita che accumulano materiale e incrementano massa durante il processo: «Le nostre recenti immagini rivelano una notevole quantità di vapore acqueo a una serie di distanze dalla stella che includono un gap in cui un pianeta potrebbe stare nascendo in questo momento», ha spiegato il coautore e astrofisico della Statale di Milano Stefano Facchini, sottolineando che tale presenza potrebbe influenzare la composizione chimica dei pianeti in formazione nella regione e concludendo: «Non avrei mai immaginato che avremmo potuto catturare un’immagine di oceani di vapore acqueo nella stessa regione in cui è probabile che si stia formando un pianeta».

Se le immagini già rilasciate grazie all’ALMA sembrano incredibili, quelle che verranno catturate dall’Extremely Large Telescope e al termine dei lavori di aggiornamento attualmente in corso potrebbero ben presto superare ogni aspettativa. In particolare, secondo il comunicato stampa dell’Osservatorio Europeo Australe, gli strumenti METIS e lo spettrografo nel medio infrarosso potranno «offrire agli astronomi viste impareggiabili delle regioni interne dei dischi di formazione planetaria, dove si formano pianeti come la Terra».

[di Roberto Demaio]

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1 commento

  1. Se la chimica della vita su questi possibili/probabili mondi sarà basata sul carbonio come da noi, addio speranze di trovare mondi ‘nuovi’ (nuovi? interessanti… meglio). A prescindere dal fatto che si dovrebbe aspettare un poco per l’utilizzo, si potrebbe ipotizzatere di spedire lassù le etnie più rissose della Terra, per vedere di anestetizzare un po’ le tensioni qui da noi, ovviamente. Ci sono etnie papabili (qui da noi ovviamente) ben distribuite tra il lontano ovest (far west?) e il vicino oriente. Mah… vediamo come evolve la situazione…

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