lunedì 14 Ottobre 2024

Un’inchiesta senza precedenti su mafia e politica ha investito la città di Bari

Una poderosa inchiesta antimafia ha colpito la città di Bari, facendo emergere un clamoroso intreccio tra clan locali, politica e mondo degli affari. L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, è sfociata nell’arresto di 135 persone, ritenute a vario titolo responsabili di reati quali associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, estorsioni, porto e detenzione di armi, illecita commercializzazione di sostanze stupefacenti e turbata libertà degli incanti. Tra le figure di spicco finite in manette c’è quella dell’ex consigliere regionale e avvocato Giacomo Olivieri, il quale si sarebbe avvalso dell’influenza degli uomini del clan Parisi-Palermiti, Strisciuglio e Montani di Bari per garantire l’elezione in Consiglio comunale della moglie Maria Carmen Lorusso – ristretta ai domiciliari – in occasione della tornata elettorale del 2019. Oltre che sulla politica, la mafia avrebbe allungato i suoi tentacoli sull’universo imprenditoriale e sulle combine calcistiche, avvalendosi di “talpe” all’interno della Pubblica Amministrazione.

Non è la prima volta che a Bari la magistratura pone la sua lente di ingrandimento sui rapporti tra mafia e politica. Le elezioni comunali del 2019, infatti, erano finite al centro di un’altra inchiesta che, nell’ottobre del 2022, aveva portato all’arresto dell’allora consigliera comunale Francesca Ferri, eletta all’interno della lista centrodestra “Di Rella sindaco”. Per la stessa compagine aveva corso, ottenendo il seggio, anche Maria Carmen Lorusso, la quale era però successivamente passata alla maggioranza di centro-sinistra che sostiene il sindaco Antonio Decaro, divenendo leader del gruppo consigliare “Sud al Centro”. La donna, che era in procinto di ricandidarsi alle prossime Amministrative, si trova ora ai domiciliari insieme a suo padre, Vito Lorusso, ex primario dell’Oncologico di Bari, arrestato a luglio con le accuse di concussione e peculato per aver chiesto e ottenuto denaro dai suoi pazienti promettendo di accelerare i tempi delle liste d’attesa e fornire prestazioni che in realtà erano gratuite. Dalle carte emerge inoltre che l’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri, che sarebbe responsabile di aver spianato la corsa elettorale alla moglie Lorusso grazie all’appoggio dei clan, avrebbe beneficiato dell’aiuto di “talpe” all’interno dell’Amministrazione. «Occhio a parlare, ti stanno ascoltando dalla Digos. Appena Mari viene eletta faranno i sequestri. L’informazione è di una persona molto fidata, lo stavano commentando in Questura», gli riferì un uomo nella primavera del 2019. Nel giugno dello stesso anno, un appartenente alla Guardia di Finanza aveva invece avvertito Olivieri – che secondo la Procura era “capace di strumentalizzare per i propri fini importanti settori delle forze dell’ordine” – di un imminente blitz nell’ambito di un’indagine su partite di calcio truccate. «Tu sai che mio suocero opera, ha operato e ha salvato la vita al fratello di Savinuccio? Tu sai che io sono un intoccabile? Te lo sei dimenticato?», pronunciava poi Olivieri in un soliloquio intercettato dalle forze dell’ordine, facendo riferimento alle cure che suo suocero Vito Lorusso aveva offerto a un parente del boss mafioso Salvinuccio Parisi, attraverso cui avrebbe ottenuto voti per la figlia. Secondo i pm, tali elementi dimostrerebbero la “estrema pericolosità della personalità” di Olivieri, nonché il suo “elevato profilo delinquenziale”, definendosi egli “quale ‘intoccabile’, collegato alla criminalità organizzata locale”. All’interno dell’inchiesta, in alcune intercettazioni e informative della polizia, viene citata anche l’assessora regionale pugliese ai Trasporti del Partito Democratico Anita Maurodinoia, a causa di due incontri avuti con Tommaso Lovreglio, nipote del boss Parisi. Secondo gli inquirenti, Maurodinoia e il marito Alessandro Cataldo (che non risultano indagati) “sapevano perfettamente” chi era Lovreglio.

Ad avvalersi di fondamentali sponde nelle forze dell’ordine erano anche i mafiosi, come testimoniano varie intercettazioni. Per esempio, nel marzo del 2018 un uomo raccontò a Nino Mastrolilli – contiguo al clan Palermiti-Parisi – di aver appreso da un appartenente all’Arma che erano state piazzate telecamere su Michele Parisi, figura di spicco del clan. L’anno prima, tramite un accesso abusivo dal Comando dei vigili urbani del capoluogo pugliese, un vigile urbano consentì al pregiudicato Giuseppe Gelao di risalire al proprietario di un veicolo attraverso il numero di targa. Estremamente significativo è poi il caso, a “parti invertite”, che nel 2018 ha visto una funzionaria della Prefettura di Bari, derubata di un’automobile, non denunciare il furto alla Polizia, bensì chiamare al telefono Gaetano Scolletta (reputato contiguo al clan mafioso Parisi), domandandogli se potesse attivarsi per il recupero del mezzo. Ciò, effettivamente, avvenne: la donna dovette però sborsare 700 euro per riavere la macchina, essendo dunque ritenuta dai pm vittima di estorsione. Dalle carte emergono poi le presunte infiltrazioni dei clan nell’universo imprenditoriale di Bari, in particolare negli ambiti dell’automotive, del caffé e nell’azienda dei trasporti cittadina, l’Amtab, che infatti è stata commissariata. Per quanto concerne le estorsioni nelle competizioni sportive, gli inquirenti avrebbero messo in luce le combine ordinate dai mafiosi delle partite di calcio Corato-Fortis Altamura del 30 aprile 2017 e del 7 ottobre 2018. Dietro le sbarre è finito anche il cantante neomelodico Tommaso “Tommy” Parisi, figlio del boss Savino, già condannato in primo grado a otto anni per associazione mafiosa.

A intervenire sul terremoto politico che ha investito Bari è stato il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che ha ipotizzato lo scioglimento del Comune dopo l’inchiesta della Dda. «Ma quale scioglimento del Comune – ha tuonato il sindaco di Bari Antonio Decaro in una diretta Facebook – cosa dobbiamo sciogliere? Questa è un’amministrazione fatta di persone perbene». «Questo è sciacallaggio politico, Gasparri, un attacco alla città. E non lo permetto», ha detto ancora Decaro, chiosando: «Volete attaccare me? Già avete mi avete squalificato, nel senso che non dando la possibilità del terzo mandato avete squalificato alcuni sindaci in questo Paese. Adesso che cosa volete fare? Volete squalificare il campo da gioco?».

[di Stefano Baudino]

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3 Commenti

  1. Non mi pare che sia cambiato mai niente, l’onestà va insegnata da piccoli in un paese di ladri dove vai a impararla e qualcuno alla fine deve pagare il malaffare diffuso e legalizzato. E più metti regole ostiche e più tutti cercano di aggirarle a proprio comodo. Non riesco a comprendere di cosa ci si stupisce e perché si colpevolizza. Ai candidati dei vari governi chi gli fa dei test per capire se sono onesti e ben intenzionati? La patente del deputato non esiste per cui hai già capito chi bazzica nelle amministrazioni. Se poi ogni tanto qualcuno vien colto col dito nella marmellato un bel processo farlocco, pagato dai cittadini che si trascina per anni e finisce nel nulla. Se le leggi sono fatte dai delinquenti a chi giovano? Un cane che si morde la coda!!!!

  2. Quello descritto non è il tessuto sociale solo barese, ma temo di tutto il nostro paese, dove la bengodi dei soldi pubblici per i soliti noti e delle loro generazioni a seguire, ha incarnato l’essenza della società come già nel 92 si iniziò a intravedere con Mani pulite. Quell’inchiesta doveva riportare un po’ di moralità e normalità, la questione morale come la chiamava Berlinguer, o quanto meno un freno all’affarismo dilagante in ogni ambito delle istituzioni pubbliche dedite più a fare affari con i mafiosi che offrire la loro opera ai cittadini. I due omicidi di Falcone e Borsellino furono un chiaro segnale alla politica per far capire chi in fondo comandava in molte regioni, prima del sud e ora di molte altre zone della nazione, e aprire con esse un tavolo di trattative come ha dimostrato l’inchiesta fra stato e mafia per spartirsi, o meglio creare una connivenza ai danni delle persone oneste, figlie di quel ceto sociale oramai in via di estinzione, stanti i fatti odierni che non saranno gli ultimi. Ovvio che oggi al governo gli eredi di un acclarato mafioso brianzolo, fondatore del primo partito di stampo delinquenziale, stiano dalla parte degli evasori e non dei contribuenti che regolarmente pagano le tasse, per cui non deve stupire l’evasione degli odontoiatri, che si innesta come una talea nel marcio sicuri che al prossimo condono, un cliché pare tutto italiano, questa volta di stampo fiscale, faranno un mea culpa col beneplacito della agenzia entrate.

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