domenica 28 Aprile 2024

La lunga e irrisolta questione dell’Italia con le scorie nucleari vecchie di decenni

Il Governo ha di recente pubblicato la Carta Nazionale delle Aree Idonee, dove vengono mostrati i cinquantuno siti ritenuti idonei ad ospitare il deposito di scorie nucleari di cui ogni Stato UE dovrebbe disporre. Per il momento, le aree individuate si limitano a sole sei regioni: Basilicata, Puglia, Lazio, Piemonte, Sardegna e Sicilia. Tuttavia, l’elenco dei siti potrebbe presto arricchirsi grazie ad una dibattuta nuova possibilità introdotta dall’esecutivo per enti locali e strutture militari. Questi potranno infatti auto-candidarsi per ospitare le scorie atomiche anche se, di fatto, verranno sottoposti ad una valutazione di idoneità solo successivamente. Il Lazio, con 21 siti individuati tutti nel viterbese, è la regione con il maggior numero di aree idonee, seguono Basilicata, Piemonte, Sardegna, Puglia e Sicilia.

Tra tutti i siti, il Governo dovrà sceglierne uno soltanto. Ciononostante, la selezione sarà più complicata del previsto. Pochi giorni dopo la pubblicazione della Carta, infatti, molti dei comuni in cui ricadono i siti ritenuti idonei ad ospitare il deposito hanno iniziato ad esternare la propria contrarietà. A nulla sono servite le rassicurazioni da parte del Ministro dell’Ambiente, il quale ha ribadito che lo stoccaggio interesserà solo le scorie a bassa e molto bassa attività (anche se sul sito del Ministero si parla di bassa e media). Ad ogni modo, nemmeno a livello regionale sembra che qualcuno voglia stare dalla parte dell’esecutivo. La Puglia si è detta «categoricamente contraria a ospitare la sede del deposito nazionale di rifiuti radioattivi». Una presa di posizione che fa seguito a quanto già dichiarato dal presidente della Basilicata, dal quale sono arrivate le prime proteste. Il capo della giunta lucana, Vito Bardi, ha infatti immediatamente ribadito il proprio no. «La nostra posizione – ha inoltre sottolineato l’assessore lucano all’ambiente, Cosimo Latronico – non cambia e non cambierà», dato che la Basilicata «offre già un contributo straordinario all’approvvigionamento energetico del Paese». Discorso analogo in Sardegna, dove il consiglio regionale ha recentemente convocato gli Stati generali proprio per ufficializzare la sua contrarietà.

Sono circa 80mila i metri cubi di rifiuti nucleari che il Belpaese sta cercando disperatamente di stoccare. Una problematica annosa che, nonostante i passi avanti, appare tutt’altro che prossima alla risoluzione. Almeno 50mila di questi scarti radioattivi derivano perlopiù dagli impianti nucleari dismessi quando gli italiani, per ben due volte, optarono per dire no all’energia atomica. Altri 28mila, invece, derivano dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare e dell’industria. Nel complesso, è inevitabile non notare come, a distanza di decenni, l’Italia non sia stata ancora in grado di smaltire delle scorie derivanti da nemmeno trent’anni di attività nucleare. Eppure il Governo, in barba anche alle decisioni referendarie, sembra determinato a far tornare l’energia atomica nello Stivale. Tra le tante, qualche mese fa è stata ad esempio lanciata la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. In generale, la posizione pro-atomo dell’esecutivo conservatore è emersa chiaramente anche nell’ultimo Piano energia e clima, così come al vertice COP28 di Dubai.

Le intenzioni dell’esecutivo, per il momento, sarebbero quelle di migliorare le conoscenze scientifiche e tecnologiche utili ad un futuro sviluppo del cosiddetto nucleare di quarta generazione, il quale – ci spiegava un anno fa il professore Gianfranco Caruso – «si propone di rispondere ai principali quesiti che ci si pongono riguardo all’utilizzo dell’energia nucleare: ridurre le emissioni, l’affidabilità, la sicurezza, la disponibilità delle riserve di combustibile, la minimizzazione delle scorie radioattive e la competitività economica». Ad oggi però non c’è un progetto simile “pronto” per entrare in funzione commerciale entro il 2030. Al massimo, entro quella data, ci saranno diversi prototipi e dimostrativi. L’alternativa, che l’Italia sembra già intenzionata a percorrere, è quella di accelerare sui cosiddetti SMR (Small Modular Reactors), «piccoli reattori nucleari – precisava Caruso – basati su tecnologie affidabili e già provate e che, nella loro evoluzione, potrebbero facilitare lo sviluppo della quarta generazione». Tuttavia, per un paese ancora in difficoltà con le scorie di uno smantellamento iniziato oltre vent’anni fa, questi potrebbero comunque non essere di aiuto. Secondo una ricerca realizzata dalle università di Stanford e British Columbia, i mini-reattori nucleari produrranno infatti molte più scorie rispetto alle centrali convenzionali. Anche di 30 volte maggiori. Le cause di questo effetto collaterale andrebbero ricercate – a detta degli scienziati – in una maggiore concentrazione richiesta di nuclidi.

[di Simone Valeri]

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