mercoledì 1 Maggio 2024

Ora gli extraprofitti sono quelli dello Stato: 4 miliardi dall’aumento della benzina

Il governo, per bocca del ministro delle Imprese Adolfo Urso, l’ha detto chiaramente: nonostante il costo della benzina abbia toccato livelli record – raggiungendo ieri una media di 2,019 euro al litro e addirittura superando i 2,70 euro in alcune autostrade -, non si metterà mano al taglio delle accise sui carburanti. D’altra parte l’Esecutivo, nei primi 8 mesi dell’anno, grazie alle accise ha messo al sicuro un tesoretto di quasi 4 miliardi, un vero e proprio “extraprofitto”. Il tutto in barba alle promesse dei due principali partiti della maggioranza, Fratelli D’Italia e Lega, che quando si trovavano all’opposizione fomentavano le piazze al grido di “aboliremo le accise”.

In seguito alla decisione del governo di non prorogare il bonus dei 30 centesimi introdotto l’anno scorso dall’Esecutivo guidato da Mario Draghi per controllare l’impennata dei costi dei carburanti originata dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, tra gennaio e giugno del 2023 l’accisa sui prodotti energetici ha prodotto 11 miliardi, con un incremento di oltre il 20% sul medesimo periodo dell’anno precedente. Il prezzo è infatti composto per il 58% dalla componente fiscale (che comprende Iva e accise) e per il rimanente 42% dal valore industriale. I vertiginosi aumenti delle ultime settimane hanno fatto volare l’Italia ai primi posti per i rincari nel continente europeo: tra luglio e la prima metà di agosto i ricavi derivanti dalle accise sarebbero cresciuti di altri 620 milioni rispetto all’annata precedente. In confronto al 2022, dunque, si assiste a un aumento del gettito pari a 2,47 miliardi, che, sommato all’Iva (1,25 miliardi), porta a 3,7 miliardi il valore delle entrate supplementari.

Sono sempre più lontani i tempi in cui Giorgia Meloni, da leader dell’opposizione, tuonava contro le accise: «Chiediamo che vengano progressivamente abolite, perché è uno scandalo che le tasse dello Stato italiano compromettano così la nostra economia», diceva solo nel 2019, mentre il suo programma politico prometteva una “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte e su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”. Ancora più recenti sono le parole del ministro delle Infrastrutture e leader leghista Matteo Salvini, che nel febbraio scorso forniva ampie rassicurazioni: «L’accordo è che qualora si arrivasse sopra i due euro, il governo interverrà, come è stato già fatto l’anno scorso. Adesso però siamo a 1,8 euro, e conto che il 2 davanti non lo si vedrà più». I cittadini, in realtà, quel numero lo stanno vedendo su moltissimi dei tabelloni che danno il “benvenuto” alle stazioni di servizio, mentre all’orizzonte non si scorge alcuna iniziativa mirata da parte del governo per cercare di raddrizzare la situazione.

A far discutere sono state, in particolare, le recenti dichiarazioni del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il quale ha affermato che «il prezzo industriale è anche al di sotto di alcuni Paesi europei, Francia, Germania e Spagna», ma che «in Italia abbiamo una tassazione più elevata sui carburanti rispetto ad altri Paesi per contribuire al bilancio dello Stato, perché siamo più indebitati di altri». Urso ha giustificato la mancata riduzione delle accise sostenendo che le risorse incamerate dall’Erario verranno ben impiegate dall’Esecutivo: «Il costo della riduzione delle accise da marzo a dicembre del 2022 è stato di oltre 9 miliardi, esattamente il costo del reddito di cittadinanza. Il governo Meloni ha preferito utilizzare quelle risorse per il taglio del cuneo fiscale, per i salari più bassi e le famiglie più numerose. E vogliamo rendere queste misure strutturali. In questo modo possiamo aiutare le famiglie in difficoltà alle prese con l’inflazione e per dare uno stimolo al sistema produttivo attraverso i consumi». Le giravolte, insomma, non si contano più.

Tecnicamente, le accise sono un esempio di tributo indiretto, una tassa introdotta dallo Stato (secondo quantità decise dall’Istituzione e non applicata in percentuale, come avviene ad esempio per l’Iva) sulla fabbricazione o sulla vendita di prodotti di consumo per un obiettivo specifico, sebbene siano diventate strutturali con la legge di Stabilità del 2013. Esse garantiscono allo Stato importanti vantaggi, offrendo alle sue casse un gettito sicuro e immediato. Le accise ad oggi in vigore si applicano solo su alcune categorie di beni: oli minerali e loro derivati (benzina, gasolio, gpl, gas metano), bevande alcooliche (liquori, grappe, brandy), fiammiferi, sigarette, energia elettrica, oli lubrificanti. Nello specifico, le accise sui carburanti sono ben 18. Tra le più onerose, ci sono quelle riferite alla ricostruzione post-terremoto in Friuli (1976), alla missione Onu per la guerra del Libano (1982) e alla gestione dell’immigrazione dopo la crisi libica e al Decreto Salva Italia (2011). La prima volta che furono introdotte le accise sui carburanti fu nel 1936, al fine di sostenere le spese belliche per la guerra d’Etiopia; le ultime risalgono invece al 2014, in riferimento alle spese del Decreto Fare “Nuova Sabatini”.

[di Stefano Baudino]

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