lunedì 29 Aprile 2024

La Colombia è sull’orlo del golpe: in migliaia in piazza a favore di Petro

La Colombia è sull’orlo di una crisi politica a causa del tentativo delle opposizioni di rovesciare il primo governo di sinistra nella storia della Colombia, legittimamente eletto nel 2022 e guidato da Gustavo Petro, che porta avanti un’agenda scomoda agli interessi degli industriali, delle potenze straniere e degli investitori locali. Il popolo colombiano è sceso in strada per manifestare la propria vicinanza al presidente e denunciare il tentativo di golpe che i gruppi di potere e il vecchio establishment stanno preparando. La situazione è molto simile a quella vissuta in Perù, quando lo scorso dicembre il presidente Castillo è stato arrestato. In Perù il governo ha soppresso la rabbia del popolo non facendosi scrupoli ad uccidere decine di manifestanti. Lo stesso Petro, sceso in piazza insieme al popolo che lo ha votato e lo sostiene, ha paragonato ciò che sta accadendo nel suo Paese con quanto avvenuto in Perù.

L’offensiva verso Petro è cominciata già durante la campagna elettorale, quando lui e i suoi collaboratori sono stati messi sotto costante intercettazione telefonica nella speranza di provare che i finanziamenti per concorrere alle elezioni fossero stati forniti dai trafficanti di droga. Cosa però che non è mai emersa dalle intercettazioni né attraverso altre fonti. Il tutto è finalizzato alla destituzione del presidente attraverso l’impeachment con l’accusa di finanziamenti illeciti provenienti dal traffico di droga. «Per mesi e mesi di intercettazioni non sono riusciti a trovare nemmeno dieci secondi in cui il candidato Petro parlasse di qualche irregolarità, pronunciasse una sola parola maleducata o facesse capire che la sua campagna era condotta in modo disonesto», ha affermato il presidente.

Petro ha vinto le elezioni con un ampio margine sul magnate delle costruzioni Rodolfo Hernandez e con un programma socialista che prevede l’istruzione universitaria gratuita per tutti, una riforma pensionistica e agraria, l’assistenza sanitaria universale e la lotta alle disuguaglianze, oltre allo stop ai nuovi progetti petroliferi. Il che ha allarmato gli investitori e i sostenitori del liberismo economico. Tra gli obiettivi più importanti dell’agenda di Petro vi è poi quello della “pace totale”, vale a dire un programma di trattative con le formazioni armate e paramilitari illegali che rappresentano uno dei più gravi problemi per la Colombia: i gruppi, infatti, sfidano i governi e la polizia, oppure, a fasi alterne, diventano un’arma nelle mani della politica che li foraggia per liberarsi dei propri nemici politici. Queste organizzazioni si sono scagliate con violenza anche contro il popolo colombiano rasentando la guerra civile: una situazione a cui Petro sta cercando di porre fine. L’idea è quella di rendere questi gruppi legali, al servizio del governo, concedendo loro qualcosa in termini economici e di riconoscimento, per porre fine ai traffici illegali e alle azioni delittuose. Al riguardo, pochi giorni fa, Petro è volato a Cuba dove è stato organizzato un incontro di mediazione con l’Ejército de Liberación Nacional (Eln), il gruppo armato forse più propenso a un accordo, con la presenza del presidente cubano Miguel Díaz-Canel. È stato così firmato un accordo tra il governo e l’organizzazione paramilitare che prevede un cessate il fuoco bilaterale in tutto il territorio colombiano per un arco di sei mesi.

Con la destituzione del presidente, tutti questi programmi verrebbero meno, motivo per cui il popolo si oppone e sta denunciando il golpe. Oltre ad essere sostenuto dalla cittadinanza a livello nazionale, Petro non è isolato neppure a livello internazionale: molti leader, infatti, hanno sottoscritto una lettera che denuncia i tentativi di golpe in Colombia, accusando le forze politiche avversarie di provare a rimuovere illegalmente Petro. Tra i sottoscrittori figurano il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, l’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa, l’ex presidente colombiano Ernesto Samper, l’ex presidente spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, Jeremy Corbyn del Regno Unito e Jean-Luc Mélenchon, ex candidato alla presidenza francese.

[di Giorgia Audiello]

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