Nell’ambito del Green Deal europeo – l’insieme di iniziative politiche promosse dalla Commissione per dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 e azzerarle entro la metà del secolo – il Parlamento comunitario ha approvato, lo scorso 18 aprile, quella che è stata definita «la più grande legge sulla protezione del clima di tutti i tempi», ossia un pacchetto di proposte denominato Fit for 55. Quest’ultimo è costituito da tre pilastri volti a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050: il primo riguarda la riforma dell’Ets (Emissions trading system – il Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra); il secondo, il Fondo sociale che dovrebbe servire a sostenere le famiglie più in difficoltà nella transizione ecologica e il terzo, invece, concerne il complesso meccanismo Cbam (Carbon border adjustment mechanism). Il tutto in vista del traguardo di liberarsi dalle fonti fossili, non tenendo presenti però gli enormi costi che richiede questa transizione sia a livello industriale che famigliare. Già ora le industrie sono obbligate a comprare delle quote di emissione per avere il permesso di rilasciare CO2 nell’atmosfera: il che si ripercuote ovviamente sul prezzo finale dei beni di consumo, incidendo sull’aumento degli stessi, a seguito dell’aumento dei costi che gravano sui produttori. Con l’ultima riforma dell’Ets, questi oneri graveranno anche sui possessori di immobili e autoveicoli e sugli affittuari. Chi non si adegua, efficientando gli edifici attraverso pompe di calore e pannelli solari, andrà necessariamente incontro ad un aumento delle bollette. Ma le direttive green dell’Unione europea si ripercuoteranno anche maggiormente sul mondo produttivo, andando ad incidere soprattutto sulle acciaierie e sul settore agricolo che subirà un aumento dei costi dei fertilizzanti. Sono tutti problemi che hanno aumentato le tensioni politiche e sociali in numerosi Paesi europei, Italia compresa, ma che non hanno impedito al commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni di esultare: «siamo i primi al mondo a fare una cosa così», ha commentato entusiasta. Tuttavia, senza le adeguate misure di sostegno, la transizione energetica rischia di trasformarsi in mera deindustrializzazione e impoverimento del Continente europeo, già provato dall’aumento dei costi energetici derivanti dalle congiunture geopolitiche.
La riforma dell’Ets e il Fondo sociale per il clima
Il sistema Ets prevede un tetto che stabilisce la quantità massima di gas climalteranti (GHG – Greenhouse Gases: CO2, CH4, N2O, HFCs.PFCs, SF6, NF3) che può essere emessa dagli impianti industriali: entro questo limite, le imprese possono acquistare o vendere quote, ossia titoli, in base alle loro esigenze. Un numero limitato di quote di emissione viene assegnato a titolo gratuito ad alcune imprese sulla base di regole armonizzate di assegnazione. Le imprese che non ricevono quote di emissione a titolo gratuito, o in cui le quote ricevute non sono sufficienti a coprire le emissioni prodotte, devono acquistare le quote di emissione all’asta o da altre imprese. Viceversa, chi ha quote di emissione in eccesso può venderle. Le quote a titolo oneroso vengono emesse tramite aste gestite dagli Stati membri: le aziende interessate hanno quindi iniziato a dover pagare lo Stato per ottenere i permessi per inquinare, generando così del gettito al pari di una tassa sulle emissioni. Va da sé che questo aumenta i costi per le industrie e, dunque, delle materie prime riflettendosi sui costi finali dei beni di consumo. Con la riforma approvata questo mese dal Parlamento europeo si aggiungono due sostanziali novità: le quote di emissione gratuite verranno progressivamente eliminate a partire dal 2026, azzerandosi entro il 2034 e, in secondo luogo, nel sistema verrà incluso anche il settore marittimo, finora escluso. La riforma è passata con 413 voti a favore, 167 contrari e 57 astensioni e comprende anche un nuovo sistema detto Ets II che coinvolgerà gli immobili e gli autoveicoli a partire dal 2027. Fondamentalmente, l’Ets II allarga la fascia dei soggetti obbligati a pagare le quote di CO2, estendendola anche agli inquilini e ai proprietari delle case, nonché ai possessori di mezzi di trasporto non elettrici. Strettamente collegata all’Ets II è la cosiddetta “direttiva Case green” o Epdb (Energy Performance of buildings directive), approvata lo scorso 14 marzo dal Parlamento europeo e avviata ora alla trattativa tra le istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio): in base alla direttiva, sia per i nuovi edifici, sia per quelli esistenti in fase di ristrutturazione, a partire dal recepimento del testo, scatterà il divieto di utilizzare sistemi di riscaldamento a combustibili fossili. Tradotto, le caldaie a gas saranno bandite, mentre saranno ammessi i sistemi ibridi (costituiti da una caldaia a condensazione e da una pompa di calore) e le caldaie alimentate con combustibili rinnovabili (biometano o idrogeno). Chi non si adeguerà a tale normativa sarà, dunque, soggetto a pagare delle quote di CO2 in base all’Ets II. A complicare ulteriormente il quadro, si aggiunge anche il regolamento Ecodesign che sarà discusso oggi 27 aprile dalla Commissione europea: il testo definitivo dovrebbe arrivare quest’anno ed essere pubblicato nel corso del 2024. In base all’Ecodesign, verranno escluse anche le caldaie alimentate con gas verdi e verranno ammesse, dunque, solo le pompe di calore elettriche e gli apparecchi ibridi. Il che non comporterà solo costi altissimi per le famiglie per adeguarsi alle nuove norme riconvertendo gli impianti di riscaldamento, ma sarà molto impattante anche per il settore degli impianti termici. Secondo Alberto Montanini, infatti, presidente di Assotermica: «L’esclusione degli apparecchi di riscaldamento a combustione porterebbe a focalizzare la transizione energetica di fatto su un’unica soluzione – l’elettrificazione – determinando una serie di criticità con ricadute sulla competitività della nostra industria, sulla sostenibilità economica e sociale per le famiglie, sulla stabilità e sulla resilienza del nostro sistema energetico. Criticità che rischiano di compromettere anche l’attuazione del percorso di decarbonizzazione dei consumi domestici. Senza dimenticare che così si danneggia un intero sistema produttivo: l’Italia è leader per la produzione di componenti».
Per compensare l’impatto economico che la transazione energetica avrà sulle famiglie, l’Ue ha istituito il Fondo sociale per il clima passato con 521 voti a favore, 75 contrari e 43 astensioni. Il Fondo sarà dotato di 65 miliardi ricavati dalla vendita all’asta dei permessi di emissione e servirà per sostenere le famiglie più vulnerabili, le piccole imprese e utenti o possessori di mezzi di trasporto particolarmente colpiti dalla povertà energetica. Sarà a disposizione dei governi a partire dal 2026. «Coloro che possono pagare pompe di calore e pannelli solari avranno un forte incentivo a farlo», ha dichiarato il vicepresidente della Commissione europea con delega al Green Deal, Frans Timmermans, poiché il Fondo sociale per il clima supporterà «coloro che non possono farlo da soli». Sul punto sono state mosse diverse critiche, tra cui soprattutto quella che riguarda l’insufficienza quantitativa dell’importo stanziato e le modalità con cui tali fondi saranno redistribuiti.
Il meccanismo Cbam e l’impatto sulla produzione industriale
Il Cbam – meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere – è lo strumento approvato dall’Ue per evitare il rischio di delocalizzare la produzione in nazioni extra Ue dove non vigono le normative ambientali e dove quindi i costi di produzione sono minori. È inteso, dunque, come l’equivalente dell’Ets europeo per i produttori di Paesi terzi. L’importatore dovrà pagare la differenza di prezzo delle merci importate, acquistando certificati di carbonio corrispondenti al valore che avrebbe pagato per la loro produzione nell’Ue. Concretamente, il Cbam verrà applicato sulle importazioni di energia elettrica, fertilizzanti, ferro, acciaio anche lavorato, alluminio, cemento e idrogeno: le imprese dovranno comunicare la quantità di CO2 contenuta nelle suddette merci per acquistare poi i relativi permessi di emissione, valorizzati ai prezzi europei. Nello specifico, le aziende dovranno registrarsi e comunicare ogni tre mesi le quantità importate e una volta all’anno dovranno dichiarare l’ammontare della CO2 importata contenuta nei prodotti, seguendo il regolamento che fornisce le basi per effettuare i calcoli relativi. Va da sé che il complesso meccanismo Cbam incide sulla competitività dell’industria europea che si dovrà confrontare con imprese non vincolate a sostenere i costi aggiuntivi derivanti da quella che, di fatto, è una tassa sul carbonio. La perdita di competitività impatterà soprattutto sull’industria dell’acciaio, rispetto alla quale si stima che determinerà una perdita di capacità esportativa fino a 6,6 miliardi di euro all’anno per la filiera italiana, ossia il valore dell’export extra Ue dell’acciaio nazionale, e circa 45 miliardi per l’intera industria siderurgica europea. Secondo i piani dell’Ue, le certificazioni Cbam dovrebbero compensare la perdita delle quote gratuite di emissioni sul mercato Ets. Tuttavia, la posizione di Federacciai è molto critica sulle iniziative europee in materia di transizione energetica: «La perdita di competitività dell’industria europea legata agli extracosti energetici ed ambientali è già un dato di fatto, con il tasso di penetrazione delle importazioni extraeuropee che sta crescendo negli ultimi anni. L’eliminazione delle quote gratuite è un ulteriore sovraccosto per le imprese manifatturiere europee, chiamate ogni giorno a competere in un mercato globale dove la concorrenza non deve sostenere oneri di questo tipo», ha commentato Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai. Per quanto riguarda il Cbam, sempre Bregnant ha affermato che permangono perplessità sul fatto che «possa funzionare da spinta per l’introduzione di sistemi analoghi nei Paesi terzi. L’Italia, che importa commodities ed esporta specialties è destinata a perdere competitività se non si mette mano a dei correttivi».
Le ripercussioni sul settore agricolo
Anche il settore agricolo è coinvolto nel sistema dello scambio di quote di emissione, in quanto i fertilizzanti – indispensabili per la produzione agricola – sono prodotti con gas climalteranti: l’urea, ad esempio, deriva dal metano. In questo modo, i prezzi dei fertilizzanti aumenteranno notevolmente e, con essi, quelli dei beni alimentari con una ripercussione sull’intero settore alimentare. Secondo il capo economia della Coldiretti, Gianluca Lelli, «È chiaro che le nuove regole europee sui cosiddetti dazi verdi si scaricheranno sui prezzi di mercato dei fertilizzanti». Difficile dire di quanto, ma sempre Lelli spiega che «in un’analisi di impatto commissionata dal ministero dell’Agricoltura francese, per esempio, si ipotizzano rincari del 10%».
Gli agricoltori hanno affermato di non essere di per sé contrari alla svolta green dell’Europa, ma di pretendere il principio di reciprocità: «se io devo pagare i concimi di più per fare in modo che questi, a tendere, inquinino meno, allora voglio anche che l’Unione europea lasci fuori il grano del Canada, dove si utilizzano soglie di glifosato non consentite nei Paesi membri», ha detto il dirigente di Coldiretti. Sul fronte industriale, non ci sono stati ancora particolari commenti, in quanto Assofertilizzanti – l’associazione italiana di settore – e Fertilizers Europe – la confederazione europea – stanno ancora facendo le relative valutazioni. Quel che è certo è che l’aumento dei costi energetici, insieme al pagamento delle quote di emissione da parte dei coltivatori, comporterà un aumento ulteriore dell’inflazione.
Il regolamento che vieta l’import di prodotti provenienti da aree deforestate
Uno degli ultimi provvedimenti approvati dall’Ue è poi quello che vieta l’import di prodotti ottenuti attraverso la deforestazione ambientale, consentendo solo l’acquisto di prodotti il cui fornitore abbia rilasciato una dichiarazione di due diligence che attesti che non provengono da terreni deforestati e non hanno contribuito al degrado di foreste dopo il 31 dicembre 2020. In caso contrario, si rischiano pesanti multe. Tra i prodotti interessati ci sono capi di bestiame, cacao, caffè, olio di palma, soia e legno, compresi i derivati. Indonesia e Malesia, i maggiori produttori mondiali di olio di palma, hanno già accusato la Ue di bloccare l’accesso al suo mercato. Il provvedimento rischia di creare tensioni anche con l’Asia e il Sudamerica, regione quest’ultima con la quale la Commissione europea sta cercando di chiudere un annoso accordo commerciale di libero scambio.
Le misure approvate dall’Ue per la transizione ecologica rischiano di scaricare ingenti costi su famiglie e imprese che si vanno a sommare alla già grave inflazione che si registra ormai da mesi nell’area euro e non solo, a causa dei costi elevati dell’energia, derivanti dalle congiunture internazionali. A ciò si aggiungono le politiche monetarie restrittive decise dalla BCE che comportano un aumento del costo del denaro che tende a deprimere ulteriormente la domanda interna. In tale scenario, i costi – diretti e indiretti – introdotti dalla riforma Fit for 55 rischiano di diventare insostenibili per i cittadini e il sistema industriale europeo, soggetto allo smantellamento o ad un suo forte indebolimento causato dalla perdita di competitività con i mercati globali. Il tutto non potrà che generare ripercussioni a catena su tutti i settori dell’economia continentale, rendendo – forse – l’Europa il primo continente neutrale dal punto di vista delle emissioni, ma anche quello più soggetto ad un rapido incremento della povertà.
[di Giorgia Audiello]




Ormai sarà stanca di riceverli, ma ancora una volta complimenti e grazie all’autrice.
È il modo per espropriare le case degli italiani e affossare definitivamente l’Italia. Niente di buono.
Condivido la linea di fondo ipotizzata dalla UE x il contenimento della gravissima crisi climatica in essere con la riduzione delle emissioni di CO2 e gas clima alteranti. Manca – purtroppo – in quel complesso e complicato insieme di misure ( peraltro e’ noto che – da sempre – Bruxelles sa eccellere solo in burocrazia e burocratese ) ogni riferimento alla miglior fonte energetica sostenibile oggi disponibile: il moto marino. Solo Il Portogallo sta investendo intelligentemente in quel comparto, mentre l’Italia, con 8000 km di coste, non fa nulla e l’ENI utilizza il prototipo per lo sfruttamento delle onde marine – messo a punto dal politecnico di Torino – sulla propria piattaforma off-shor per estrarre petrolio!!! Tale tecnologia permetterebbe – almeno in Italia visti i km di costa di cui dispone – di produrre tutto il proprio fabbisogno di energia a prezzi molto, molto bassi contribuendo o annullando i paventati costi della “ transizione ecologica “ e della sua sostenibilità.
Mi chiedo perché non se ne parli e chiedo all” Indipndente “ di approfondire e fare informazione nel merito
Non sono un esperto di onde marine ed energia, ma mi chiedo quanto possano competere i nostri 8000 km di coste di mare chiuso con le imponenti onde oceaniche del Portogallo…certamente molto piu’ produttive…
Siamo in presenza dei soliti “fighetti green” per i quali un bagno di realta’ sarebbe salutare…
Quanto CO2 genera la produzione del pannello fotovoltaico?…e siccome sono tutti importati, la tassa li renderebbe già ora invendibili. Follia, l’unico vero obbiettivo è impoverire ulteriormente il ceto medio.
E poi, finiamola con questa barzelletta dei fondi (tanti, giusti, pochi) …i soldi lo stato non li ha e tanto meno li ha la UE che li preleva dagli stati. I fondi sono soldi dei cittadini prelevato con le tasse, smettetela di descriverli come manna caduta dal cielo – sono un esproprio anticipato.