venerdì 11 Ottobre 2024

I popoli in rivolta scrivono la storia: No TAV fino alla vittoria!

Un colpo al cuore: ecco quel che provo ogni volta che, dopo l’ultima curva del sentiero, mi si para innanzi il cantiere. È un cancro che sta devastando giorno dopo giorno la bellezza viva della Clarea ed ha già inghiottito centinaia di migliaia di alberi, cementificato dieci ettari di prati e boschi, alzato reti e cancelli dove c’erano antichissime vie di collegamento tra paesi e passaggi di accesso all’acqua per gli animali.

Il cantiere TAV sta avanzando verso il basso, si moltiplica a macchia di leopardo lungo la Valle: il fortino del cosiddetto autoporto a San Didero; la voragine aperta nei terreni agricoli di Caselette per seppellire le scorie velenose e il materiale di demolizione; la trivella che a Buttigliera Alta è in funzione giorno e notte tra ville e giardini, nella zona in cui è previsto l’imbocco della galleria sotto la collina morenica di Rivoli.

Del tunnel di base verso la Francia nulla esiste, neppure uno straccio di progetto, nonostante le fandonie giornalistiche propinate all’opinione pubblica da chi vuol far credere che la grande mala opera sta andando avanti e non si può più fermare. 

Ad essere contrabbandata come inizio opera c’è solo la galleria geognostica della Maddalena di Chiomonte, già di per sé devastante, scavata al piede di una frana preistorica: una ferita di sette chilometri che la grande fresa ha inferto al corpo vivente della montagna, rendendo più precario il delicato equilibrio degli enormi massi che ne costituiscono l’ossatura. Le fonti che alimentavano gli acquedotti di una vasta zona si sono seccate, mentre le acque scendono copiose lungo le pareti, a formare un vero e proprio canale inquinato dai liquami delle lavorazioni. 

Dopo il sottopasso autostradale scendo ai Mulini di Clarea, la piccola frazione caduta in abbandono dopo la costruzione dell’autostrada che ne ha occupato i terreni condannandola all’isolamento. 

Era un mondo di mugnai e di montanari, di cui resistono le tracce: i terrazzamenti per i coltivi, le grandi macine tra i muri diroccati, un antico frantoio per l’olio di noci, il torchio dove si pigiavano le uve di Bequet e di Avanà, gli antichi vitigni più forti della filossera.

[Il primo presidio dei manifestanti No TAV in Val Clarea.]
Resta una sola casa abitabile, la baita più grande, dove visse fino alla fine l’ultimo mugnaio. Il movimento NO TAV l’ha avuta in comodato d’uso dall’anziana proprietaria, insieme a storie dimenticate d’amore e di fatica. Oggi la vecchia casa è animata: si rassettano le stanze, si aggiustano i tetti, c’è chi prepara gli orti per le piantine novelle e chi dà acqua alla meravigliosa fiorita di giunchiglie. Ora è questo il nostro presidio di Clarea contro il TAV, un luogo del cuore, cullato dalla voce del torrente che scorre poco lontano , protetto da un’ultima quinta di bosco che lo isola dal cantiere. Ma poco lontano, oltre il ponte sul Clarea, mi aspettano i luoghi di una memoria che ancora brucia, ancora chiama alla lotta. Cancelli e alte recinzioni a isolare il fortino, la testa del cantiere. Uno stradone pieno di blindati dove viveva il castagneto di alberi centenari. Capannoni, ruspe, nastri trasportatori, edifici militari, soldati e lince. Montagne di pietrisco: il materiale di scavo tratto dalla galleria e abbandonato a cielo aperto, polvere di amianto e uranio abbandonata all’azione del vento che ne sparge lungo la valle i veleni. 

Ai margini del sentiero, imprigionata tra due sbarramenti di reti, quella che fu il nostro primo presidio, la piccola baita edificata in pochi mesi a partire dall’autunno 2010, inaugurata alla mezzanotte di un Capodanno pieno di neve e di stelle, in quel 2011 che conobbe la nascita e la resistenza della libera repubblica della Maddalena. Tra i suoi muri trovammo rifugio e vivemmo l’ultimo sgombero, nel gennaio 2012. Era bella e viva, costruita con maestria dagli artigiani del movimento, fulcro e strumento di una socialità che ha creato cultura e legami indissolubili. Ora giace in abbandono, i vetri infranti, il tetto che cade a pezzi, intorno un rottamaio di ferri arrugginiti, materiale fatiscente, cumuli di smarino…

Rabbia e tristezza… Vado oltre, lungo il sentiero che improvvisamente si restringe, diventando un camminamento chiuso tra i muri di pietra di quella che fu l’antica viaria e l’imbocco della galleria. 

In passato questo era il punto in cui più fervevano le attività: a tutte le ore i piazzali sottostanti erano intasati di macchine in movimento; serrata era la sorveglianza da parte dei militari che ci seguivano oltre le reti, settore per settore. Ma oggi regna uno strano silenzio, come se qualcosa improvvisamente si fosse inceppato nella catena di montaggio della devastazione. 

[Val Clarea – Il cantiere abbandonato.]
Mi fermo nel punto più alto, da cui è possibile una prospettiva d’insieme. Il cantiere mi appare immobile, come pietrificato. La perfetta macchina da guerra sembra caduta in un singolare disordine di porte aperte, di operazioni lasciate a metà, troppo intasata per potersi muovere… Mi viene in mente un mostro d’acciaio con i piedi d’argilla… e su quei piedi prima o poi cadrà. Ma intorno a me non c’è solo la violenza di cantiere. L’altro lato del sentiero parla di un altro mondo: al limitare del bosco sono fioriti il biancospino e i ciliegi selvatici, già rossa fiammata di foglie autunnali, ora vestono una delicata trina di fiori bianchi. La natura risplende di tutti i colori del verde.

Ma è ora di tornare.

Ripasso l’antico ponte accompagnata dalla voce del torrente. Ai Mulini ritrovo il mondo bello e fraterno che dalla lotta è nato e nella lotta continua. Nel cortile, su un rustico tavolo, é pronto il pranzo condiviso. Nel paiolo cuoce la polenta. C’è allegria; una chitarra suona e qualcuno intona un’antica canzone di resistenza. Una farfalla gialla, la prima della stagione, si posa per un attimo su una giunchiglia, poi vola via.

[di Nicoletta Dosio – da sempre attiva nelle lotte sociali e politiche sul territorio piemontese, è uno dei volti storici del Movimento NO TAV. Condannata ai domiciliari per aver partecipato a una manifestazione pacifica del Movimento, ma rifiutandosi di sottostarvi e divenire così “carceriera di sé stessa”, Nicoletta è stata imputata di almeno 130 evasioni, che le sono valse la condanna a oltre un anno di carcere presso il penitenziario di Torino]

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