giovedì 10 Ottobre 2024

La figura di Benedetto XVI è più complessa di quanto siamo soliti pensare

La morte del Papa Emerito, Benedetto XVI, ha scosso il mondo cattolico, radunando a San Pietro una folla di migliaia di fedeli provenienti da tutto il mondo per rendergli omaggio: descritto durante il suo pontificato come un papa “difficile”, eccessivamente erudito e sofisticato e, dunque, distante dal “sentimento” di fede popolare, la sentita e numerosa partecipazione alle sue esequie ha ribaltato ogni aspettativa e contraddetto la narrazione che soprattutto gli ambienti più progressisti e riformisti hanno contribuito a diffondere rispetto al defunto pontefice. Alla celebrazione del funerale – presieduto da Papa Francesco questa mattina alle 9,30 – hanno partecipato, infatti, oltre 100.000 persone e in tre giorni 200.000 fedeli sono accorsi a Roma per l’ultimo saluto. La Città del Vaticano è blindata per accogliere fedeli, religiosi e capi di Stato e su tutti gli edifici d’Italia sono state messe le bandiere a mezz’asta in segno di lutto. Sono state molte, inoltre, le delegazioni che a titolo personale sono giunte in Vaticano per omaggiarlo, mentre quelle ufficiali sono solo quelle di Germania e Italia. Non è mancato poi chi ha sottolineato che i funerali del Papa Emerito hanno fornito l’occasione per un vertice dei cosiddetti “leader sovranisti”: Giorgia Meloni, il premier ungherese Viktor Orban e quello polacco Mateusz Morawiecki si sono ritrovati, infatti, per ricordare Benedetto XVI. Sono gli stessi leader conservatori considerati vicini a una Chiesa definita impropriamente “conservatrice”.

Teologo di vasta e profonda erudizione, Joseph Ratzinger, nato a Marktl, in Germania, nel 1927, ha sempre svolto un ruolo di primo piano nella Chiesa conciliare e post-conciliare, avendo partecipato ai lavori del Concilio Vaticano II e ricoperto per buona parte del suo servizio ecclesiastico ruoli di spicco all’interno dei dicasteri cattolici: il 25 novembre 1981, Giovanni Paolo II lo ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. È divenuto poi anche Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale, fino alla sua elezione a Papa nel 2005. Per diversi devoti e commentatori restano ancora aperte le cause reali delle sue “dimissioni” – avvenute nel 2013 – considerando inverosimili le motivazioni ufficiali della sua rinuncia al ministero petrino e ipotizzando ragioni legate a dissidi interni alla Chiesa che coinvolgono anche il piano politico internazionale.

La sua difesa della civiltà occidentale e delle sue radici cristiane, la lotta contro la dittatura del relativismo, la professione di una fede “radicale” e la difesa dell’antropologia cristiana e della natura umana contro quelle considerate le derive della “rivoluzione sessuale” hanno contribuito a dare di lui l’immagine di “ultimo baluardo della vera dottrina cattolica” presso una larga parte di fedeli che lo accostano erroneamente alla Tradizione cattolica, sebbene Ratzinger sia pienamente ascrivibile alla corrente “modernista”, tanto che molti lo ricordano per la sua capacità di «capire la modernità». Il che ha contribuito anche a creare quella spaccatura silenziosa, ma ben evidente, segnata dalle correnti apparentemente contrapposte dei “bergogliani” e dei “ratzingeriani”. I primi inclini a una riforma radicale della Chiesa, che si apra totalmente al mondo e alle sue logiche; i secondi propensi, invece, a difendere maggiormente i caposaldi della dottrina nella loro integrità, auspicando una Chiesa che non sia succube delle logiche mondane.

In realtà, la questione del dualismo inconciliabile tra “una Chiesa mossa dal mondo” e una “Chiesa che muove il mondo” non risale alla divisione tra ratzingeriani e bergogliani, bensì al Concilio Vaticano II (CVII) – aperto nel 1962 da Papa Giovanni XXIII, proseguito da Paolo VI e terminato nel 1965 – ai cui lavori Ratzinger ha dato un grande contributo. Lo spirito del Concilio è considerato dai cosiddetti “tradizionalisti” – rappresentati soprattutto dai “lefebvriani” della comunità di San Pio X –  come l’elemento che più di tutti nella storia del cattolicesimo ha determinato l’apertura – e indirettamente la sudditanza – della Chiesa al mondo, annacquandone la dottrina anche attraverso la modifica radicale della liturgia, passando dalla Messa antica o Messa tridentina – celebrata in latino – che segue il Messale Romano promulgato da Papa Pio V nel 1570, alla Messa “novus ordo” riformata.

Benedetto XVI è stato un difensore del Concilio avendo anche preso parte ai lavori in qualità di consulente teologico del cardinale Frings, arcivescovo di Colonia. Ratzinger – al contrario dei “tradizionalisti” che parlano di rottura – ha insistito molto sulla continuità del Concilio con l’intera storia del cattolicesimo, collocandolo all’interno della storia della Chiesa, secondo quella che è conosciuta come “ermeneutica della continuità”. Per questo molti sono contrari ad annoverare Ratzinger tra gli esponenti della Tradizione, definendolo piuttosto come un “modernista conservatore” che ha dato un notevole contributo al processo di modernizzazione della Chiesa e all’ecumenismo, pur tentando di frenarne le derive più marcate.

Tra i meriti attribuiti a Ratzinger e al suo pensiero teologico vi è sicuramente quello di avere insistito sull’accordo tra fede e ragione, viste non in contrapposizione, ma come elementi complementari, funzionali uno all’altro, secondo gli insegnamenti della patristica e della scolastica medievale. Ma anche quello di avere fatto notare i limiti della tecnoscienza assurta a verità ultima del mondo moderno e contemporaneo, condannandone la pretesa di poter soddisfare ogni esigenza della natura umana e mostrandone i pericoli. Ha inoltre “liberalizzato” la Messa antica, considerata forma extraordinaria del rito romano dal motu proprio Summorum Pontificum del 2007, annullato poi dal motu proprio di Papa Francesco, Traditionis Custodes, che ha sancito che il Messale riformato dopo il Concilio Vaticano II è «l’unica espressione della lex orandi del Rito romano». Secondo l’arcivescovo Georg Ganswein, segretario di Benedetto XVI, Traditionis Custodes avrebbe «spezzato il cuore» del Papa emerito, mostrando in questo una divergenza di vedute con il suo successore: «è stato un duro colpo. Io credo che abbia spezzato il cuore di Papa Benedetto leggere il nuovo Motu Proprio […] Se si pensa per quanti secoli la Messa antica è stata fonte di vita e nutrimento spirituale per molte persone, tra cui molti santi, è impossibile pensare che non abbia più nulla da offrire», ha affermato l’arcivescovo, rimarcando così uno degli elementi di divisione all’interno della Chiesa che ha alimentato anche il divario tra i sostenitori di Bergoglio e quelli di Ratzinger.

Nonostante non fosse particolarmente amato dagli ambienti progressisti sia politici che ecclesiastici che l’hanno ritratto come un conservatore dogmatico – tanto che nel 2008 gli fu impedito di tenere un discorso all’università La Sapienza di Roma in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico – la sua dipartita ha dimostrato che il suo Pontificato ha lasciato un segno indelebile nel cuore di molti fedeli, grazie alla sua difesa delle radici della civiltà occidentale e per essersi opposto – seppure parzialmente –  a quelle che tra i fedeli vengono considerate le derive disgregatrici della fede e della natura umana. L’ampia partecipazione alle sue esequie è una dimostrazione di come quella che viene percepita – a torto o ragione – come un’adesione radicale ai principi della fede, lontana da aperture “mondane” – sia in grado di attrarre i fedeli, riuscendo a colmare il vuoto relativista e materialista molto spesso avvertito dalla società secolarizzata.

[di Giorgia Audiello]

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