La riforma che ha ridotto i deputati da 630 a 400, presentata come misura di risparmio, non ha in realtà determinato una diminuzione della spesa complessiva della Camera. I conti ufficiali mostrano infatti una media annua di circa 1.034 milioni nel 2017-2021, salita a circa 1.293 milioni nel periodo 2022-2024, con una spesa totale nel 2024 pari a circa 1,26 miliardi (967 milioni per attività funzionali). L’effetto più evidente è l’aumento della spesa pro capite: il contributo unico ai gruppi resta circa 30,9 milioni, perciò con meno deputati aumenta la dotazione per eletto. Filippo Scerra, questore del M5S – forza promotrice della riforma – rivendica comunque un risparmio di circa 50 milioni sulle indennità, mentre il resto della crescita viene imputato all’inflazione.
A quattro anni dall’entrata in vigore del taglio, i numeri – rielaborati dall’AdnKronos – delineano una tendenza chiara: i costi per il funzionamento di Montecitorio non sono calati, ma hanno anzi intrapreso un percorso di lieve ma costante crescita. La differenza media di 259 milioni di euro all’anno tra il periodo precedente e quello successivo alla riforma segnala che la promessa di un alleggerimento significativo del peso sull’erario non si è concretizzata. Anzi, l’operazione ha prodotto un paradosso: a fronte di un organico ridotto di 230 membri, molte voci di bilancio non sono state proporzionalmente ridotte. Un caso emblematico concerne il “Contributo unico e onnicomprensivo” per i gruppi parlamentari, che rimane stabilmente intorno ai 30,9 milioni di euro. Con 400 deputati invece che 630, la stessa somma si traduce in un sensibile incremento delle risorse mediamente a disposizione di ciascun eletto. Ciò dimostra come il taglio degli stipendi non abbia generato automaticamente una riduzione delle dotazioni complessive previste.
A difendere l’operato interviene il questore pentastellato Filippo Scerra, secondo il quale la riforma ha comunque prodotto un effetto positivo contenendo la spesa potenziale. «Se non ci fosse stato il taglio dei parlamentari, oggi la spesa complessiva sarebbe stata più elevata. La riforma ha infatti inciso direttamente su una specifica voce di bilancio, determinando una riduzione di circa 50 milioni di euro, legata al venir meno delle indennità dei parlamentari non più in carica» afferma Scerra. E prosegue: «È vero che altre voci di spesa hanno seguito l’andamento dell’inflazione e hanno contribuito a far crescere i conti complessivi, in particolare nel biennio 2021-2022. Tuttavia, se si guarda alle spese di funzionamento, emerge un quadro di sostanziale contenimento dei costi». Una valutazione simile viene espressa dal questore di Fratelli d’Italia, Paolo Trancassini, che pone l’accento sulla gestione. «Nonostante l’impatto dell’inflazione e una serie di aumenti generalizzati, la spesa complessiva è rimasta sostanzialmente invariata. Questo dato evidenzia una gestione attenta e virtuosa delle risorse», sottolinea, aggiungendo che la Camera «abbia anche ripreso a effettuare assunzioni che mancavano da anni».
Differente è il quadro che emerge dal Senato, dove la riforma ha ridotto i componenti da 315 a 200. Qui la gestione finanziaria appare più lineare e improntata al contenimento. La dotazione di bilancio richiesta per il 2025 è identica a quella del 2011, fissata a 505 milioni di euro, e risulta ridotta di 21,6 milioni annui rispetto a quell’anno per il quattordicesimo esercizio consecutivo. Dal 2012, il carico del Senato sulle finanze pubbliche si è così ridotto complessivamente di circa 460,5 milioni di euro. Nel 2024 la spesa complessiva si è attestata a poco più di 495 milioni di euro. Un risultato frutto non solo del taglio strutturale annuale, ma anche di risparmi aggiuntivi e razionalizzazioni, stimati in 12 milioni per gli anni 2018-2020 e 2022, e in 10 milioni annui per il triennio 2023-2025.
La riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, che ha provocato la riduzione dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200, è stata approvata dal Parlamento italiano nel 2019 e poi sottoposta a referendum confermativo. I cittadini si sono recati alle urne il 20–21 settembre 2020 e la proposta è stata ratificata con una maggioranza netta (circa il 70% dei voti a favore), con oltre 17,9 milioni di “sì” contro circa 7,7 milioni di “no” e un’affluenza attorno alla metà degli aventi diritto. L’assetto ridotto è entrato in vigore con le elezioni successive, applicandosi per la prima volta nel 2022.




