Sono oltre trent’anni che la solidarietà al popolo palestinese finisce nel mirino degli inquirenti italiani. Per Mohammed Hannoun, presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia (API) e fondatore dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP), quello attuale costituisce il terzo procedimento nel quale si trova coinvolto con l’accusa di aver sostenuto, in un modo o nell’altro, il terrorismo. Le indagini precedenti si sono concluse in un nulla di fatto, con due richieste di archiviazione. E quelle attuali, che hanno portato lo scorso 28 dicembre al suo arresto, insieme ad altre nove persone, sembrano poggiare sul terreno scivoloso del “caso politico”, come lo ha definito uno degli avvocati di Hannoun. Le accuse, infatti, provengono tutte da Israele e dal suo esercito, l’IDF. Non vi è alcun riferimento, nelle centinaia di pagine del tribunale di Genova, al fatto che si tratti di uno Stato accusato di genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia, fattore che dovrebbe come minimo inficiare l’affidabilità delle affermazioni. Allo stesso modo, non vi è traccia di prove schiaccianti contro Hannoun e l’ABSPP.
La criminalizzazione della solidarietà con il popolo plaestinese è una carta che Israele ha cercato di giocarsi in più occasioni, con risultati scarsi, se non nulli. Dall’ottobre 2023, sono molteplici le occasioni in cui organizzazioni che operano a favore dei palestinesi sono state accusate da Tel Aviv di complicità con il terrorismo. Il governo israeliano ci ha provato con l’UNRWA, ma ci ha poi pensato l’ONU ha stroncare ogni accusa, sottolineando come non esistessero prove al riguardo. Era stata anche diffusa la teoria secondo la quale gli ospedali di Gaza fossero in realtà basi terroristiche utilizzate da Hamas, anche questa non supportata da alcuna prova al riguardo. È successo anche con la Global Sumud Flotilla, che Israele ha accusato di avere legami diretto con Hamas – accuse mai dimostrate. E nella giornata di oggi Tel Aviv ha fatto sapere che per il 2026 non saranno rinnovati i permessi di decine di ONG straniere operanti a Gaza, proprio per problematiche relative a trasparenza riguardo la provenienza dei fondi.
In questo contesto si inserisce il procedimento contro Hannoun. Le prime accuse di complicità con Hamas (nata nel 1987) gli vengono rivolte già nel 1991. Ma i due procedimenti penali nei quali si troverà coinvolto, nel 2006 e nel 2010, si chiuderanno entrambe le volte in un nulla di fatto e due richieste di archiviazione. Eppure, il 18 ottobre 2023, pochissimi giorni dopo l’attacco di Hamas e l’inizio dell’offensiva militare israeliana a Gaza, la Digos ricomincia a indagare. Le ipotesi di reato sono di finanziamento con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere, con l’aggravante di istigazione o apologia di delitti di terrorismo. La teoria è che i soldi raccolti tramite ABSPP, invece che finire ai palestinesi bisognosi, finiscano in realtà in mano al braccio armato di Hamas, il quale li impiegherebbe per compiere azioni terroristiche. Il materiale viene raccolto tramite intercettazioni telefoniche, ambientali, informatiche, acquisizione di immagini di videosorveglianza, analisi patrimoniali e finanziarie. Sono state condotte anche attività “sotto copertura”, che hanno permesso di estrarre 4 terabyte di informazioni dai computer di ABSPP. Nel frattempo, ad indagare sono anche gli Stati Uniti. Nel 2024, il Dipartimento del Tesoro USA designa Hannoun come membro di Hamas e dichiara l’ABSPP «organizzazione benefica fittizia», il cui vero scopo sarebbe quello di raccogliere soldi per finanziare l’ala militare di Hamas.
A supportare le indagini del tribunale di Genova vi sono documenti che sono stati forniti da Tel Aviv e dall’IDF, l’esercito israeliano che sta conducendo un genocidio nella Striscia di Gaza e supportando le violenze dei coloni in Cisgiordania. La normativa italiana non regola espressamente l’acquisizione, nei procedimenti penali, di atti extraprocessuali acquisiti grazie ai canali della cooperazione. Tuttavia, si ritiene “significativa” la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, secondo la quale le informazioni raccolte nelle zone di conflitto sono utilizzabili nei processi se raccolte “in modo conforme allo Stato di diritto e ai diritti umani”. Non è specificato in che modo l’IDF, esercito di uno Stato coinvolto in un processo per genocidio presso la Corte di Giustizia Internazionale, abbia raccolto le informazioni che avrebbe a disposizione sul sostegno di Hannoun al “terrorismo”.
Secondo le accuse, “pare possibile affermare” che oltre il 70% dei soldi raccolti da ABSPP siano stati devoluti ad associazioni collegate ad Hamas. Ed è la stessa pm Carpanini a scrivere che Hamas è “un’organizzazione unitaria”, dove l’ala politica non è separabile nettamente da quella militare. I finanziamenti provenienti dall’estero, dunque, “non possono essere sicuramente distinti”: ovvero, non è possibile sapere con certezza se eventuali soldi versati ad Hamas siano effettivamente andati al “braccio armato” del gruppo.
Il contesto nel quale il tribunale inserisce i fatti è quello dell’attacco del 7 ottobre, sul quale tuttavia non esiste ancora una verità giudiziaria, in quanto Israele ha annunciato indagini ufficiali al riguardo solamente una settimana fa, ad oltre due anni dagli eventi. E i documenti del tribunale, infatti, citano informazioni ricavate da “organi di stampa” e tutto quanto è stato ricostruito, dalla “ingente disponibilità di uomini” alle “capacità superare difficoltà di pianificazione e strategica”, fino alla disponibilità di “ingenti risorse finanziarie” che “presuppongono importanti canali di finanziamento”, è tutto frutto di ricostruzioni giornalistiche israeliane. E se da un lato, nelle trenta pagine di ricostruzione della storia del movimento di Hamas – ovviamente non utili ai fini processuali – viene sottolineato come l’obiettivo del gruppo sarebbe quello di “distruggere Israele”, vengono ampiamente sorvolate le innumerevoli e ampiamente documentate dichiarazioni pubbliche di esponenti dell’attuale governo di Tel Aviv che invocano il massacro dei civili palestinesi, inclusi i bambini, a prescindere dal loro coinvolgimento nei fatti del 7 ottobre.




